(da unita.it) Un tempo la pubblicità era semplice semplice. Bugiarda, magari, ma semplice. Diretta. Ti si diceva: guarda che questo prodotto è fantastico. Se lo usi la tua biancheria sarà bianchissima, sempre più bianca, se usi questo dentifricio i tuoi denti saranno sani e esenti da macchie. Poi la pubblicità è diventata metaforica: se usi questo prodotto, sei figo. Cioè: non importa un granché che il prodotto funzioni davvero, quello che conta è che comprandolo tu puoi considerarti qualcuno. Che so, un giovane alla moda, un uomo al passo coi tempi, la mamma ben pettinata di una famiglia perfetta, un maschio-alpha cui le donne si prostreranno ululando. Insomma, balle pazzesche: praticamente la pubblicità è la menzogna istituzionalizzata.
Perché ovviamente non è vero che spruzzandoti addosso il profumo tal de' tali milioni di femmine si eccitano fino al parossismo al tuo passaggio, non è vero che se usi il salvaslip pinco pallo poi ridi sempre, ed è del tutto falso che se mangi biscotti tizio caio la tua famiglia approderà all'Eden della serenità. Nessuno ci crede davvero. Solo che, un po' come funziona con la pornografia, ripetendotelo ossessivamente, «loro» sanno che in qualche sua parte del tuo cervello (anche quello più evoluto) alla fine si installerà il dubbio che magari, invece, è tutto vero, che in fondo qualche tuo desiderio può pure essere realizzato mettendo semplicemente mano al portafoglio.
Oggi, però, la pubblicità è spezzata in due: da una parte quella elementare, da sottosviluppo mentale («due set di di coltelli al prezzo di uno, vedi i numeri in sovrimpressione!»), dall'altra quella che punta direttamente al senso della vita, se non a Dio. Tu sei il prodotto che compri, tu entri a far parte di una comunità, ed è la comunità a darti uno scopo, a darti un «perché». Precedenti: lo spot con Gandhi che parlava alla gente di tutto il mondo. È la tecnologia, bellezza: la tecnologia e la comunicazione non sono un mezzo, sono la tua anima. Incredibile, da questo punto di vista, la pubblicità della nuova 500. Voce fuori campo di Ricky Tognazzi, mentre scorrono le imamgini in bianco e nero. Lui blatera qualcosa sul «cosa essere e non essere» e, addirittura, sulla «differenza tra Bene e Male». Vedi le facce di Fellini, Wojtyla, Veronesi, Toscanini, addirittura Borsellino, Falcone, Pertini, Montanelli, sinanche le immagini di piazza Fontana e della strage di Capaci. Praticamente un distorto trattato di filosofia mischiato ad un'allegra miscellanea di storia contemporanea: ti si dice che ci sono cose, ossia simboli, che danno un senso di virtuosa appartenenza, che fanno la differenza tra l'«essere» e l'«esserci» heideggeriano, che caratterizzano il passaggio e di noi umani nell'universo, che ci fanno capire come disinguere la luce dall'oscurità. Per essere chiari: cose che fanno la differenza, cose che qualificano il nostro Io (prim'ancora che il nostro portafoglio).
Quando pensi di aver sbagliato canale, di essere su RaiEducational o su una qualche pubblicità progresso sponsorizzata dal ministero del welfare, appare finalmente la scritta: «La nuova Fiat appartiene a tutti noi», accompagnata da una bella foto con la 500 vista di profilo. Traduzione: ti senti bravo, buono, vuoi sentirti utile al mondo, credi nel sorti magnifiche e progressive del genere umano, volendo anche sotto un punto di vista spirituale? Bene: tu «sei» la 500. Anzi, no: la 500 è Dio (...e benvenuti al progressista mistico come target pubblicitario). Ora, lasciamo perdere che la nuova 500 la fanno in Polonia e che la Fiat produce macchine non esattamente per la felicità del pianeta Terra ma per fare profitti, e diamo atto che la vecchia 500 era molto carina e forse pure un simbolo della speranzosa Italia del boom, ma insomma: possibile che alla fine dei giochi l'unica certezza è che ci sentiamo irrimediabilmente presi per i fondelli?
Roberto Brunelli