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I ragazzi si ritirano nelle loro camere, vivendo da eremiti e, a volte, non uscendo neanche per mangiare |
Sindrome di Hikikomori
E’ uno dei comportamenti deviati frutto della modernità della nostra era. L’era del pc, di internet e dei videogame, in particolare. L’allarme viene dal Giappone, dove il problema Hikikomori sembra riguardi un milione di persone. Vediamo di cosa si tratta. Wikipedia – in inglese – dice: “is a Japanese term to refer to the phenomenon of reclusive adolescents and young adults who have chosen to withdraw from social life, often seeking extreme degrees of isolation and confinement due to various personal and social factors in their lives”. Gli affetti dalla Sindrome letteralmente si ritirano nelle loro camere, vivendo da eremiti e, a volte, non uscendo neanche per mangiare. Esemplare è il caso di Yoichi, un diciassettenne di Tokyo che tre anni fa si è chiuso alle spalle la porta della propria camera dopo un insuccesso scolastico e l’ha riaperta soltanto sei mesi dopo, per farsi un bagno nella stanza accanto: per tutto quel tempo la madre gli ha lasciato il pasto fuori dalla porta tre volte al giorno. Si tratta di storie estreme ma che, ahinoi, stanno diventando sempre più frequenti. Le occupazioni preferite di questi giovani, che nella maggior parte dei casi dormono di giorno e stanno svegli di notte, sono internet e i videogame: quasi tutti sono espertissimi di computer e maghi della consolle. Trovando spesso genitori asserviti ai capricci dei figli, ai ragazzi hikikomori la vita deve sembrare di un’incredibile comodità: ci si sveglia quando si vuole, non si va a scuola né a lavoro, si fa uno spuntino quando capita, tanto il frigo è sempre pieno, e si passano i pomeriggi e le nottate davanti alla televisione o ai videogame. Un altro caso estremo è quello di Takeshi che, dopo aver subito anche troppe angherie dai compagni di scuola, si rinchiuse nella sua minuscola camera e vi rimase quattro anni, senza vedere nessuno, passando il tempo a guardare quiz televisivi, giocare alla Playstation e costruire modellini di automobili. C’è anche chi ha ipotizzato cause specifiche, come una madre oppressiva, un padre assente, il bullismo scolastico, le pressioni eccessive. Su quest’ultimo punto batte l’antropologo James Roberson, sostenitore della teoria secondo la quale l’hikikomori sia una forma di resistenza alla forte pressione verso l’autorealizzazione che i ragazzi cominciano a percepire già alla scuola media. Simile la teoria del dott. Saito, che ha trattato più di 1000 hikikomori, che attribuisce il disagio al contesto familiare e sociale, all’interdipendenza fra genitori e figli e alle pressioni che i primi esercitano sui secondi, perché siano eccellenti negli studi e nella professione. Ogni deviazione del ragazzo dal percorso verso il prestigio e la realizzazione scolastica e professionale è vissuta dai genitori, e di conseguenza dai loro figli, come un grave fallimento: questo sarebbe il terreno su cui l’hikikomori non avrebbe difficoltà a crescere.
L’isolamento nella camera del computer è solo il sintomo più evidente, e spesso sottende altro: depressione innanzitutto, ma anche sindromi ossessivo-compulsive. Molti dei ragazzi affetti hanno la mania della pulizia, altri hanno manie persecutorie. Forse anche per questo è possibile incontrare alcuni hikikomori – quelli che ancora riescono a superare lo shock di uscire dalla propria camera una volta ogni tanto – nei Konbini, quei supermercati giapponesi aperti 24 ore su 24, in cui si può andare di notte, mentre tutti dormono, e fare rifornimento di cibo per una settimana. Benché diffuso anche in altri Paesi, l’hikikomori predilige il Giappone perché la sua stessa natura di protesta silenziosa è tipica della cultura del Sol Levante. E’ più facile che un ragazzo emarginato dei Paesi Occidentali finisca con l’abbracciare una delle tante subculture moderne, diventando hacker, dark, satanista o che, nelle derive peggiori, prenda ad abusare di sostanze stupefacenti. In Giappone l’apparenza, l’onore, la reputazione sono ancora valori fondamentali, così come l’uniformità delle abitudini e dei costumi, alla quale è difficile sottrarsi: ecco che per molti giovani l’unica forma di ribellione possibile diventa la chiusura, l’agonia solitaria, il costruirsi un micromondo nella propria cameretta, il preferire emozioni virtuali a quelle reali, l’hikikomori insomma.
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Pierluigi Lucadei
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Primo PianoBenessere e Salute |
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il 13 Dec 2006 alle 15:32 |
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