Albertazzi legge Cohen: reading-concerto al Festival di Poesia di Genova
GENOVA - In anteprima nazionale assoluta, il 13° Festival Internazionale di Poesia aprirà il programma con uno spettacolo di poesia e musica in omaggio a uno dei più grandi cantautori mondiali, Leonard Cohen. Sarà Giorgio Albertazzi il protagonista del reading-concerto, accompagnato da Amii Stewart alla voce e il jazzista Marco Di Gennaro al pianoforte. Le letture saranno tratte dal volume di Cohen “L’energia degli schiavi”, con la traduzione di Giancarlo De Cataldo e Damiano Abeni. Leonard Cohen, celebratissimo cantautore canadese, autore di pezzi mitici come “Suzanne”, “Sisters Of Mercy”, “Joan Of Arc”, “I’m Your Man”, ma apprezzato anche come romanziere, viene ora presentato per la prima volta in Italia nella sua veste di poeta. Autoironico, graffiante, struggente, amaro e divertentissimo, ne “L’energia degli schiavi” Cohen presenta l'ennesimo lato della sua poliedrica personalità, che non mancherà di appassionare vecchi fan e nuovi lettori. Lo spettacolo si terrà al Teatro della Corte, il teatro Stabile di Genova, il giorno 11 giugno alle ore 21. L’entrata, come consueto nel Festival, sarà gratuita e saranno allestiti schermi giganti per accontentare i numerosi ammiratori degli artisti coinvolti.
Dalla prefazione di Giancarlo De Cataldo a “L'energia degli schiavi”, minimum fax: «Perennemente incapace di scegliere fra l’ascesi imposta da un millenario retroterra mistico e la pelle abbronzata delle stelline di cartapesta, ha bruciato e consumato amori, rancori, droghe e dolori. Ha mollato l’azienda di famiglia (ramo tessile) per farsi poeta. Ha studiato la cabala e il Talmud ed esplorato il sesso adolescente nel lungo inverno canadese. È partito per Cuba entusiasta di Fidel e ne è stato cacciato con ignominia per aver fatto comunella con una congrega di santi bevitori e donnine di facili costumi quanto mai invisa al moralismo di regime. È stato “Capitan Mandrax”, il bipede semovente più fatto del sistema rock, e ha conteso a Ernst Junger e William Burroughs il discutibile primato di tossico più longevo del XX secolo. A sessant’anni suonati s’è ritirato in cima a un eremo per assistere il vecchio maestro Roshi, nel bel mezzo del periodo buddista ha scritto una sarcastica invettiva rivendicando la sua mai negletta appartenenza alla cultura (e alla fede) ebraica. Il suo continuo oscillare da un estremo all’altro di due visioni profondamente contrapposte dell’esistenza ne fa un esempio unico di vita vissuta e raccontata in una “presa diretta” costantemente sopra le righe.»
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