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Moggi

14 Maggio 2006: la domenica nera del pallone

Il sistema malavitoso di Luciano Moggi ha ucciso il campionato più bello del mondo

Neanche il peggiore antijuventino poteva immaginare una scenario simile. Neanche chi in questi ultimi dieci anni non ha fatto altro che gridare allo scandalo di fronte ai vantaggi goduti dalla Signora del calcio italiano poteva pensare che ci fosse una organizzazione così capillare di malavita sportiva, in grado di fare il bello e il cattivo tempo fuori e dentro i campi di gioco. Confesso di essere stato tra quelli che, pur ammettendo un’evidente sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti delle grandi squadre, erano soliti prendere le distanze da chi voleva a tutti i costi dipingere scenari apocalittici. Ma dai non crederai davvero che quel giocatore sia stato ammonito per fargli saltare la partita con la Juve oppure non crederai sul serio che ci sia una congiura per far retrocedere quella squadra, erano pensieri miei e di tanti altri. Purtroppo, per una volta, la realtà ha superato la fantasia. Sempre che le ipotesi fatte in questi giorni attorno alle intercettazioni telefoniche siano confermate. Ma, per certi personaggi, crediamo sarà arduo difendersi da accuse mosse da loro stessi, dalle loro stesse parole. Perché, per quanto possano essere contestualizzate e interpretate di conseguenza, le telefonate intercettate lasciano poco spazio al dubbio. 

La crisi più grave della storia del calcio? Certo che sì, ha ragione Roberto Mancini. Lasciamo stare le combine delle ultime giornate, gli accordi per un pareggio quando il campionato sta per finire. Quelli ci stanno, o meglio, ci sono sempre stati e non ci sorprendono più. Quello che abbiamo scoperto in questi giorni è invece un sistema malavitoso capace di coinvolgere il sistema calcio in tutte le sue sedi di potere: dirigenti federali, designatori arbitrali, arbitri, dirigenti di società, calciatori, procuratori, giornalisti sportivi, nessuna categoria sembra uscire pulita dall’intera faccenda. Un sistema tentacolare che ha saputo espandersi al punto da avere un controllo assoluto su tutto. Moggi e i suoi servitori decidevano tramite cornetta le sorti del campionato di calcio più bello e più fasullo del mondo. Retrocessione, salvezza, scudetto, calcio mercato, ammonizioni, rigori, moviola, tutto il calcio è stato per anni soggiogato da un clima di terrore creato da un uomo a cui disobbedire era fatale. Essere contro il sistema è stato possibile per pochi: Pierluigi Collina, uno su tutti. Fatto puntualmente fuori l’anno scorso con l’assurdo pretesto delle sponsorizzazioni illecite. Il tecnico boemo Zdenek Zeman è solo uno dei tanti allenatori caduti in disgrazia per aver osato ribellarsi al sistema malato di Don Luciano. Persino un Pallone d’Oro come Luis Figo è stato messo a tacere, qualche mese fa, quando denunciò di aver visto Moggi nello spogliatoio dell’arbitro durante l’intervallo di Inter-Juve. Come in qualsiasi sistema malavitoso, l’omertà è la regola, il coraggio la virtù dei pochi disposti a pagarne il prezzo. Si spiega in questo modo il comportamento dell’arbitro Paparesta, che non ha denunciato l’episodio increscioso avvenuto al termine di Reggina-Juve dello scorso campionato, quando fu letteralmente chiuso a chiave nel proprio spogliatoio da Luciano Moggi, come atto punitivo per un arbitraggio sfavorevole ai bianconeri.

Ieri nei campi di serie A si è giocato in un’atmosfera surreale. I giocatori della Juventus hanno festeggiato lo scudetto e non hanno parlato della bufera che si è abbattuta sulla società. Luciano Moggi si è presentato di fronte ai giornalisti solo per rivendicare il diritto a difendersi dalle cattiverie che sono state scritte su di lui e per annunciare, quasi in lacrime, il suo addio al calcio. Come se potesse fare altrimenti. «Non ho più l’anima», ha aggiunto. Figura peggiore della sua l’hanno fatta, almeno ieri, soltanto Fabio Capello e Giampiero Mughini. Al tecnico bianconero non è passata neanche per l’anticamera del cervello l’idea di abbandonare, per una volta, il grugno duro e l’aria di superiorità che da sempre lo contraddistinguono: persino ieri non ha perso occasione per rispondere sgarbatamente alla stampa, con un’arroganza che è apparsa fuori luogo come non mai. Giampiero Mughini, che con le sue battute al vetriolo ha contribuito in questi anni a tenere alto l’indice di gradimento della trasmissione Controcampo, è apparso in nettissima difficoltà e intestardendosi a difendere l’indifendibile, ha rimediato una figura così disastrosa che, crediamo, d’ora in poi sarà difficilmente ripresentabile. Sarebbero bastati gli insulti rivolti ad inizio trasmissione al pubblico che lo fischiava («Teste di ca…») a rovinargli per sempre faccia e credibilità. Ma il mondo del giornalismo in generale non esce certo a testa alta dalla bufera. Giorgio Tosatti, Aldo Biscardi, Tony Damascelli sono nomi che in questi giorni abbiamo avuto la tristezza di leggere tra quelli coinvolti nelle intercettazioni. Giornalisti conniventi, giornalisti che sapevano, giornalisti che, con polemiche mirate e silenzi obbligati, hanno messo in ridicolo un’intera categoria. 

Quanti sapevano? Con tutta probabilità, quella emersa fino ad ora è solo la punta dell’iceberg. Come credere, per esempio, che Galliani, presidente delle Lega, e il Milan fossero estranei al tutto? Non sono state forse Juve e Milan le società amiche che si sono divise i campionati di calcio degli ultimi quindici anni e si sono rese protagoniste di reciproche cortesie, come il prestito gratuito del portiere Abbiati la scorsa estate? E le squadre romane, per evitare i fallimenti delle quali furono inventati scandalosi sotterfugi, come l’ignobile decreto spalmadebiti al quale il sistema Moggi, sospettiamo fortemente, ha dato il suo beneplacito in cambio di adeguate contropartite?
L’inchiesta è destinata ad allargarsi ed è in ogni caso difficile fare previsioni su quello che succederà. Gli scenari disegnati dagli esperti di diritto sportivo parlano di radiazioni, retrocessioni, squalifiche, penalizzazioni, com’è giusto che sia. Ma giusto è anche aspettare, con la speranza che una volta sgonfiato lo scandalo non si risolva tutto nel solito pastiche tricolore e che certi personaggi non tornino alla ribalta nel giro di qualche anno. Quello sì, sarebbe la tomba di uno sport a cui i tifosi non concederanno più la passione di prima. O forse è vero il contrario. Proprio come nel finale de Il caimano, quando Nanni Moretti immagina una rivolta di piazza al momento della condanna di Berlusconi, forse accadrà lo stesso col calcio, magari tra qualche mese, magari dopo un mondiale giocato alla grande o addirittura vinto. Non ci sorprenderebbe che tutto finisse all’italiana. Ci conoscono nel mondo per la nostra becera furbizia di bassa lega, per la mentalità mentecatta per cui l’imbroglio non solo è tollerato ma assurge a motivo di vanto. Il fine giustifica i mezzi è quello che, non a caso, hanno scritto ieri alcuni tifosi juventini allo stadio di Bari. 

 Pierluigi Lucadei

Editoriali

Calcio, Calci e Calciattori

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