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Gomorra

“Gomorra”: verità sotto scorta

di Urso Alex                                       

Un altro giro di giostra che puzza di sangue e promesse che chiamano morte. Ancora la mafia, sempre la malavita, sempre la piovra a gestire questo suo personale teatrino dove se alzi la voce e semplicemente non ci stai, se alzi la voce e ti mostri contrario tu sei il prossimo, come se fossi quello in più, ché dai fastidio perché sei vero e con la voglia di cambiare. E sei solo.

Succede a Napoli, quella bella del sole (tanto per fare una citazione di comodo alla Rosa Russo), e quella che il sole se lo vende al diavolo, o meglio quella che il diavolo se lo compra, che coatto se lo porta via sotto gli occhi di chi ormai vede abituato al buio di cent’anni.

Succede a Roberto Saviano, giornalista 28enne autore del best-seller “Gomorra”, romanzo inchiesta sulla malavita campana edito da Mondadori, da più di cinque mesi in testa alle classifiche e vincitore del premio “Viareggio”.

Il libro, recente argomento di ritorsione da parte della malavita napoletana, racconta in modo aspro e veritiero, attraverso una serie di testimonianze e leggende, l’evoluzione storica della Camorra, l’adattamento ad una situazione di crescente padronanza e gestione di spicchi sociali sempre maggiori, col passaggio sottolineato dalla razzia e dalla potenza militare come iniziale essenza di un sistema cinquecentesco, fino ad arrivare ad una spaventosa affermazione economica e finanziaria, ad una metamorfosi in comitato d’affari che la porta oggi ad essere ben più spaventosa delle potenti Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Sta di fatto che, fuori moda ed invecchiata dai secoli, ritenuta da qualcuno addirittura “passata”, la puzza della malavita nel Napoletano si sente eccome.

E così come nelle strade di Caserta e nelle storie della faida di Scampia, l’aria di una crescente forza organizzata, potente quanto silenziosa, militare quanto imprenditrice, si sente nel libro di Saviano, ritratto moderno del “sistema”, narrazione-reportage affrontata in prima persona nei luoghi incriminati, reali, che si toccano e ti macchi del sangue che hanno pagato: negozi, fabbriche, famiglie, tra testimonianze e leggende che nella maniera migliore, quella del popolo che dice, svelano i misteri di questa antica associazione criminale.

Il rituale ritorsivo che segue alle pagine di Saviano è scontato e ripetuto nella storia italiana come in quella di ogni altro paese che si trovi a fare i conti con la codardia di chi è forte e debole, di chi nel nome di un clan nasconde il suo, di chi della violenza ne fa un uso privato come mezzo di controllo sociale disonesto e criminale: lettere anonime, telefonate mute, avvertimenti su ciò che “non ti fanno e che vogliono farti credere ti faranno. Ma intanto ti fermano, creano diffidenza intorno, screditano, insultano, allontanano tutti dalla tua vita perché mettendo paura ti creano attorno il deserto”, e tu sei solo un puntino che col giro del tempo diventa presto inutile e dimenticato da chi resterà impunito.

Ciò che porta maggiore chiarezza al caso sono state comunque le considerazioni fatte dalla stampa casertana, secondo cui a dar fastidio alla malavita, siano state soprattutto le parole pronunciate dal giornalista durante un discorso a Casal di Principe, feudo della camorra campana con un record spaventoso di omicidi negli anni ’90. In questa occasione, chiamato sul palco per ricevere il premio Siani nell’ultima delle quattro giornate di mobilitazione anticamorra, Saviano ha detto: “Antonio Iovine, Francesco Schiavone, Michele Zagaria, non valgono nulla. Loro poggiano la loro potenza sulla vostra paura, se ne devono andare da questa terra”, chiamando quindi pubblicamente per nome e cognome alcuni fra i maggiori esponenti della camorra campana come nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare fin’ora.

Logico pensare che la vita del giovane giornalista non sarà più la stessa. Con una misura d’urgenza il prefetto di Napoli ha infatti ordinato per lui una scorta, col conseguente isolamento ambientale e le varie prevenzioni del caso. C’è chi però si sta mobilitando per non lasciarlo solo: un appello improvvisato con raccolta di firme di scrittori e lettori è stato l’immediato sostegno da parte di quella piccola parte in grado di sentirsi sostenitrice di giustizia per una causa in fondo di tutti.

Cosa magnifica sarebbe non lasciare il caso Saviano nel nulla, no lasciarlo al tempo, non lasciarlo scappare da sotto il naso e credere che sia davvero una grande opportunità per smuovere le coscienze di chi purtroppo si sente costretto a fare i conti con forze più grandi che una voce o un corteo in piazza. Sappiamo di averne passati molti altri di casi in cui sembrava che qualcosa potesse cambiare, e per ognuna di queste volte ci siamo fermati all’evidenza senza nemmeno capire perché. Non è facile, ma non fermiamoci alle parole, non possiamo, e non possono soprattutto coloro che ci rappresentano. La mafia è criminale, la mafia è l’estorsione alla nostra libertà, la mafia è capillare, la mafia è nemica della giustizia sociale, la mafia è il dramma del sangue, la mafia è un colpo di pistola in una piazza e la distorsione di mille silenzi ancora più assassini.


 Alex Urso

Editoriali

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