Neri Marcorè: tra teatro, televisione e cinema
E’ in teatro con “La lunga notte del Dottor Galvan”, la tragicomica storia di un giovane medico nata dalla fantasia di Daniel Pennac. Ma, da attore poliedrico qual è, Neri Marcorè continua a condurre trasmissioni televisive e a farsi sedurre dal grande schermo.
Ci racconti lo spettacolo? E’ la storia di un medico tirocinante che si vede arrivare in pronto soccorso con degli strani sintomi che non fanno altro che moltiplicarsi, in una lunghissima notte in cui vengono mobilitati tutti i reparti. Alla fine si scopre che dietro la malattia del paziente c’è lo stesso motivo che aveva spinto Galvan ad intraprendere la carriera di medico. E’ un monologo, ci sono molti personaggi, ma nessun altro in scena oltre a me, per un’ora e un quarto. Che differenze ci sono tra il pubblico televisivo e quello teatrale? Quello del teatro è un pubblico più attento, è un pubblico che ti sceglie. Non è comodo come quello della TV. E’ un pubblico che sceglie di comprare il biglietto, di uscire, di prendere la macchina e di mettersi a cercare parcheggio, eccetera eccetera. Comunque io faccio teatro più che altro per rispondere ad una mia esigenza. Mi piace il rapporto diretto col pubblico, a teatro è tutto immediato, capisci all’istante se una battuta funziona o no, tu stesso attore a seconda della risposta della gente riesci a dare di più o di meno. Poi il teatro mi è utile anche perché uno come me, che non ha mai fatto palestra, riesce a farla sul palcoscenico. Nel Dottor Galvan per esempio corro e salto in continuazione. Tra l’altro ora sei anche direttore artistico di un teatro. Sì, a Porto Sant’Elpidio hanno ultimato un nuovo teatro e, siccome i miei concittadini sono molto fieri di me, visto che ho fatto conoscere un po’ il nome della città in giro, mi hanno proposto di fare il direttore artistico. Per me è un lavoro nuovo, devo ancora capirlo fino in fondo. Per ora mi sono limitato a fare il cartellone. Il teatro non è grandissimo, ci sono 410 posti, ma siamo contenti perché è sempre pieno. Com’è stato interpretare Papa Luciani? Quel ruolo mi è stato proposto un po’ a sorpresa, tanto che all’inizio pensavo fosse uno scherzo. Poi ho letto la sceneggiatura, serviva un attore in grado di interpretare il candore di Papa Luciani. Sono contento perché, pur non essendo un gran sostenitore della Chiesa, ho interpretato il Papa che ho amato di più. Avevo 12 anni quando Luciani fu eletto e mi dava l’idea di un parroco di campagna con il quale chiunque poteva parlare. Comunque Mediaste non aveva molta fiducia nel progetto evidentemente: ha aspettato un anno e mezzo prima di mandarlo in onda. Alla fine l’hanno mandato in onda durante i Mondiali ed è andato bene lo stesso. E Zapatero? Per Zapatero l’idea era quella di una fusione di tre diversi personaggi. Il primo ovviamente è lo stesso Zapatero, che non ho mai sentito parlare, però mi è bastato osservarlo e poi un po’ gli somiglio. Il secondo personaggio è Mr. Bean, sia io che Zapatero gli assomigliamo un po’. Infine Chance, il giardiniere di Oltre il giardino. E’ molto divertente perché Zapatero è un politico che l’Italia invidia alla Spagna, si dice che ci vorrebbe anche da noi uno come lui, e vederlo come un ingenuo, come Chance il giardiniere o come Mr. Bean crea un contrasto divertente. Un personaggio che ti piacerebbe interpretare? Sandokan (ride, nda). Non lo so, non ho idee chiare in questo momento. Dei classici è già stato fatto tutto, diciamo che per me è molto più stimolante fare personaggi nuovi, fare qualcosa che non è stato ancora fatto. Mi piace la novità. Come mai allora continui a condurre Per un pugno di libri in TV? In realtà ogni anno mi chiedo se continuare a farlo o no, ma ancora non mi sono stufato. E’ un programma tutto sommato poco pretenzioso, l’impegno è relativo, un giorno a settimana, è un programma in cui non si urla, si sta coi ragazzi, si parla di libri. Insomma, è un programma che da spettatore guarderei. Come sei arrivato a fare questo mestiere? Sono stato abbastanza fortunato. Dopo aver finito la scuola di interpreti a Bologna, ho partecipato a una trasmissione in Tv dove facevo imitazioni e sono arrivato in finale. Poi hanno proposto a tutti i finalisti di fare degli scatch ogni domenica pomeriggio su Rai Due. Così mi sono accorto che quel lavoro mi piaceva, ma che non mi piaceva esattamente quella cosa lì, e ho fatto un corso di teatro, ho messo le basi che prima non avevo. Adesso sono circa 12 anni di seguito che faccio teatro. Poi, grazie a Pupi Avati, è arrivato il cinema. Be’, in questo mestiere ci sono dei momenti in cui sembra che un attore faccia di tutto e adesso mi sento in uno di quei momenti.
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