Rocky Balboa is back. E con lui è giustamente tornata in auge la stella negli ultimi tempi decisamente appannata di Sylester Stallone, risalito sul ring a sessant’anni per interpretare il capitolo finale della saga che narra le gesta del pugile dal cuore tenero, del personaggio che lo ha reso celebre in tutto il mondo. I critici erano pronti a bollare il film come flop, reputando inutile un nuovo capitolo della serie (il sesto per l’esattezza) e a decretare la carriera di Stallone come finita; in pochi avrebbero scommesso sulla riuscita commerciale del progetto ed invece al di là di ogni più rosea aspettativa, il film ha incassato già circa 70 milioni di dollari al botteghino statunitense e si appresta ad ottenere cifre di riguardo anche al box office italiano. Ai giorni nostri Sylester Stallone e il suo alter ego Rocky sono invecchiati ma se ne fregano e non sembrano per nulla decisi ad andare in pensione: molte cose sono cambiate ma la loro voglia di farcela e di dimostrare alla gente di poter ottenere ciò che vogliono è intatta ed identica a quella del primo episodio, del lontano 1976 (il primo film intitolato semplicemente “Rocky” fu candidato a 10 premi Oscar ed incassò nel mondo più di 300 milioni di dollari). Rocky Balboa in quest’ultimo film torna nella sua Philadelphia, in quei sobborghi periferici dove la gloria è ormai un lontano ricordo e dove passa le serate a raccontare le proprie gesta ai clienti del suo ristorante, dedicato alla memoria dell’amata moglie Adriana. Nel suo cuore Rocky è però ancora un combattente. Alla sua storia si intrecciano quella del figlio Rocky Jr. (interpretato da un convincente Milo Ventimiglia) ed inaspettatamente quella di Mason “The Line” Dixon (Antonio Tarver), l’attuale campione dei pesi massimi, con una carriera in stallo perché non ha mai affrontato avversari degni di nota. Il giorno dopo una surreale simulazione al computer che lo oppone al Rocky dell’epoca d’oro (la vittoria al videogioco di Balboa sarà profetica?), il manager di Dixon ha un’idea per rivitalizzare la carriera del suo cliente: portare realmente sul ring quel combattimento virtuale. Per il vecchio Rocky il richiamo sarà troppo forte e non si lascerà sfuggire una seconda opportunità che credeva non potesse capitare. Poco importa se le scene di combattimento sul ring sono state le prime ad essere girate per sfruttare al meglio la forma fisica raggiunta da Stallone dopo duri allenamenti o che il suo viso imbolsito non corrisponda ad una realtà che non può che essere ovviamente diversa, perchè questo Rocky d’addio colpisce dritto al cuore evitando il patetico e il ridicolo in favore di un film caldo, vivo, sincero. A sessant’ anni Sly si è detto stanco di prenderle, di incassare colpi (commercialmente parlando…) dai giovani divi metrosexual della nouvelle Hollywood più intenti a curare i propri capelli che le proprie ferite: si è rimesso in forma, ha indossato nuovamente i calzoncini e l’accappatoio dorati dei tempi fastosi di Rocky III ed ha vinto la sua personale scommessa. Il “mastino di Philadelphia” è tornato. Rocky Balboa is back.