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"Ginger Man" (Neri Pozza, 2006)

J.P. Donleavy “Ginger Man”

Un debosciato americano in terra irlandese ne può fare di danni, ne può traviare di donne, ne può scolare di pinte.

Ginger Man è Sebastian Dangerfield e tu leggi i suoi pensieri, le sue azioni, la sua mediocrità e dici: ecco uno schifo di personaggio, ecco un derelitto senza speranza, viscido, scroccone, porco. Quasi lo adoro.

Sebastian Dangerfield: uno dei più indecenti antieroi del Novecento. Americano di stanza a Dublino. Dovrebbe studiare legge al Trinity College ma non apre libro; avrebbe una moglie ma non si fa scrupoli a sedurre tutte le donne che capitano a tiro del suo sesso insaziabile; potrebbe avere tutto invece disperde se stesso in mezzo a vasche di alcol. In un mondo appena uscito dalla Guerra, Dangerfield è offensivo e blasfemo in ogni cosa che fa, si attira addosso il tuo disprezzo ed è capace anche di fartelo pesare, fatto di zenzero com’è.

Il romanzo è pieno di improvvisi passaggi dalla prima alla terza persona e, soprattutto, viceversa, dalla terza alla prima: Donleavy descrive la scena e poi sbatte sulla pagina i peggiori pensieri di Dangerfield.

«Ho visto lunedì che cadevano di venerdì. Giovedì che sembravano martedì. Ma la domenica è un giorno che non potrò mai sopportare. Lasciatemelo dire: abbiamo tutti bisogno di bere un goccetto.»

E’ bene aprire il libro senza aspettarsi lieti fini, anche se quando arrivi alla trecentonovantatreesima ed ultima pagina ti viene il sospetto che in fondo questo stronzo, senza stillare la più piccola goccia di sudore, possa trovare un po’ di pace e tranquillità. Pur in mezzo alla miseria e al degrado.

«Credo che la maledetta casa stia per venire giù. Un giorno quella catapecchia si coricherà sulla strada con me sotto. Trema tutta quando mi spazzolo i denti. Temo proprio che i tram ne abbiano minato le fondamenta. Ammesso che le abbia mai avute.»

Dangerfield è truffatore, ladro, mostro. Non gli riesce niente di meglio da fare che circuire la signorina Frost, una mansueta zitella rosa dai sensi di colpa, e portarle via ogni onore, materiale e spirituale. O prendere e lasciare e poi riprendere l’assatanata Mary. O scegliersi per amico l’impresentabile O’Keefe, un perdigiorno sempre in bilico tra un’indefessa verginità e una propensione all’omosessualità.

Il riferimento principe: Henry Miller. Donleavy elucubra meno, non si perde in chiacchiere e manca la folgorazione tipica dei Tropici, ma lo sguardo puntato verso la crocifissione rosea è il medesimo, la poetica dello squallore ancora più accentuata. A ben guardare la sua scrittura è un continuo confermare proprio l’assunto milleriano secondo il quale l’arte non è soltanto esibizione ma sinfonia nelle tenebre.

«E’ raro che io mi lasci andare ad affermazioni dogmatiche ma sono portato a pensare che quando tutte le cose passeranno, la conoscenza carnale non passerà.»

Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1955 da Olympia Press, proibito negli Stati Uniti, bandito in Irlanda, censurato in tutto il mondo, compresa l’Italia, dove è stato dato alle stampe nel 1959 da Feltrinelli in una versione ‘ripulita’. Una versione in cui mancava, per esempio, il capitolo 10, quello di Dangerfield che viaggia in treno con la patta aperta. La traduzione di Massimo Ortelio portata ora in libreria da Neri Pozza si basa sull’edizione integrale del romanzo, mai pubblicata in Italia.

Pare che Johnny Depp abbia comprato i diritti del libro e ne produrrà la trasposizione cinematografica. Non sarebbe male se l’attore decidesse anche di mettere la sua faccia nel progetto. Quello di Sebastian Dangerfield è un personaggio con le carte in regola per non sfigurare accanto a nessuno, neanche a Edward Mani di Forbice, George Jung e Jack Sparrow.

 Pierluigi Lucadei

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