Anthony Burgess “L’importanza di chiamarsi Hemingway”
Fondamentali le parole con cui Burgess, celebre autore di “Arancia meccanica”, inizia questa mini biografia su Ernest Hemingway. «Se l’autore di Fiesta, Addio alle armi, Il vecchio e il mare e I racconti di Nick Adams fosse stato una mezza cartuccia, asmatico o tisico, che viveva fantasie da uomo forte attraverso i suoi scritti, rimarrebbe pur sempre uno dei grandi scrittori americani. Ma non era una mezza cartuccia. Alto un metro e ottanta, torace ampio, bello, esuberante, era guerriero, cacciatore, pescatore, bevitore. E’ proprio la fusione dell’artista sensibile e originale con l’uomo d’azione dalla muscolatura atletica che ha fatto di Ernest Hemingway uno dei grandi miti internazionali del ventesimo secolo.» L’uomo d’azione Hemingway ha portato nella letteratura i muscoli, il cinetismo e l’eroismo del suo machismo esasperato e a volte bugiardo, al punto da fare della scrittura una questione di forza. Amato e detestato in ugual misura, Hemingway era chiassoso, gradasso, collerico, capace, secondo i detrattori, di riciclare se stesso per tutta una carriera. Ma chi meglio dello stesso Hemingway poteva riciclare l’Hemingway di “Fiesta” e “Addio alle armi”? Burgess fissa nei primi romanzi il vertice letterario dell’autore, su tutte le opere successive – eccezion fatta per i racconti e per il romanzo breve “Il vecchio e il mare” – esprime più di una riserva. Considerando un peccato mortale anziché un peccatuccio il ritrovare in opere quali “Morte nel pomeriggio”, “Per chi suona la campana”, “Di là dal fiume e tra gli alberi” lo stesso stile secco e senza fronzoli e gli stessi temi di virile avventura che hanno decretato il successo del Papa alla fine degli anni venti. Innamorato della Spagna e della corrida, dell’Italia e dei canali veneziani, amico delle dive Ava Gardner e Marlene Dietrich, appassionato di pugilato e di safari, Hemingway ha vissuto da rockstar ante litteram, forte di un fascino e di un’aura di mitologia che lo hanno accompagnato per tutta la vita, fino ai giorni grigi del declino fisico e della depressione. Anche i giudizi di sconcertante cinismo sui colleghi Faulkner, Fitzgerald e tanti altri fanno parte del personaggio. Così come le storie ingigantite o inventate di sana pianta, la sua infedeltà e le sue ansie sessuali. Certo è che quella lezione di stile è ancora vivissima, basta leggere uno qualsiasi degli scrittori americani che vanno per la maggiore in questi anni. Richard Ford? Paul Auster? Non devono qualche insegnamento di troppo al vecchio Papa?
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