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Borat, locandina |
“Borat” di Larry Charles
Quando il battage pubblicitario diventa così prepotente, è inutile negare come la visione del film risulti la proiezione ufficiale e prolungata di spezzoni già belli e confezionati; così per le parole spese a precedere l’evento, che deformano le aspettative indirizzandole anche lì verso il miglior offerente/guastafeste. È il caso di “Borat”, ultimo lavoro di Sacha Baron Cohen, il comico inglese che tanto si è modellato sul trasformismo di personaggi imbarazzanti ed irriverenti (Ali G) e che ora, guidato dal regista Larry Charles, dissacra, forma, consacra, umilia, un personaggio su cui si è già nauseantemente speso un clichè di aggettivi preparando la pellicola al successo ancor prima di uscire sugli schermi. Arrivato nelle sale italiane il 2 Marzo, il film è incentrato sulle vicende di Borat Sagdiyev (per l’appunto l’ottimo Cohen), reporter kazako in viaggio negli U.S.A. con l’intento di girare un documentario sulle usanze ed i costumi degli States, ai fini di riportare una preziosa e quanto mai fedele testimonianza della realtà americana nel suo Paese. Commissionato dal network di Stato della sua nazione, Borat si imbatterà nel corso di questo on the road in imprevisti ed imprese imbarazzanti, irriverenti, oscene al punto esagerato, surreali (si spera!) e comunque divertenti. Ce n’è per tutti, ed il risparmio di battute moleste non è garantito: dai neri ai gay, dai cristiani alle femministe, per non parlare dei riferimenti politici (volendo) e comunque questi ultimi non a mio avviso da sottolineare con particolare accanimento (il timore della realtà d’altronde spaventa anche nell’innocenza di un personaggio che la sa tutta ma non la sa raccontare!).La comicità certamente è particolare, e non dispiace, pur se i gusti individuali fanno da padroni nel giudizio di scene e situazioni che nascono proprio dalle reazioni alle provocazioni di Borat, spregiudicate e già abbonate a liste scomode e sgradite dalla diplomazia o da chi reputa questo un film scorretto ‘solo’ per l’immediatezza di sentimenti troppo ‘lascivi’ alle circostanze (razzismo, misoginia ed atteggiamenti bigotti che nascondono -se proprio in ogni storia debba trovarsi una qualche morale- una realtà dissacrata (ma non troppo) che si vede allo specchio, come quando ad un rodeo tutti esultano all’idea che anche l’ultimo abitante dell’Iraq sarà ridotto in poltiglia).Per quanto riguarda le tecniche di ripresa, tutto il film si presenta come una sorta di misto tra vero e recitato, tanto da confondere a tratti le due cose; l’ambiguità tra mascheramento ed effettive reazioni delle vittime resta spesso sospesa, nascosta dietro una ripresa d’assalto stile Iene che incappa in imbarazzi coinvolgenti.A mio parere è un film magari non debordante ma efficace nell’obiettivo: far ridere. Inoltre non vedo la necessità di cause e relativi risarcimenti a viziare la nostra intransigenza allo ‘scomodo’ (bisognerà chiarirsi poi la valenza di un termine del genere oggi); dunque forse non un capolavoro come i botteghini probabilmente indicheranno, ma semplicemente un film divertente, che certo se non arriverà alle promesse di critica pubblicizzate, perlomeno avrà avuto il merito di svelarci un segreto: Pamela Anderson non è più vergine ed è tutta di plastica!
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Alex Urso
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Recensioni |
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il 27 Mar 2007 alle 15:33 |
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