Storie di ordinaria umanità nel diario di una ragazza del Piceno che trascorre un anno in un Paese lontano/7
IN VIAGGIO, INCONTRANDO IL VERO PERU'
2006-12-14 - Finalmente un fine settimana lungo! A volte capita di lavorare anche la domenica, ci sono sempre “ferias” o iniziative alle quali non ci si può sottrarre e così non riesco mai a trovare un po’ di tempo per scappare dal "mostro". Per il ponte dell’Immacolata volevano già incastrarmi a dipingere le pietre di un monumento situato vicino all’ufficio. Per fortuna sono riuscita a dire di no ed a partire con gli altri ragazzi Italiani per il Sud.
Di nuovo Panamericana, “sur” questa volta. Partiamo di notte per non sprecare neanche un’ora. Qui le distanze sono immense e il tempo un po’ risicato. Nell’autobus credevo di riuscire a dormire ed invece mi sono sorbita un film statunitense, a tutto volume, con cadetti, armi e Tom Cruise adolescente come protagonista: un incubo.
A Pisco scendiamo e saliamo su un taxi: siamo in sei, con le valigie, sembriamo concorrenti di "Scommettiamo che...". Destinazione Paracas, un paesino microscopico con due stradine, un mercato di artigianato e tanto oceano. Sembra di essere finiti in un altro paese: senza rumori, combi, frenesia per arrivare al lavoro, timore di essere derubato.
Appena arrivati il proprietario ci propone subito escursioni imperdibili. Pochi secondi per appoggiare le valigie e si parte. Con un giubbetto di salvataggio(sembro più la figlia di "Robocop" che una turista) sono pronta ad esplorare le “Islas Ballestras” a bordo della barca. Nella guida sono descritte come le “Galapagos dei poveri”, a me affascinano. Soprattutto la fauna marina. Non mi aspettavo di trovare qui, a due passi dall’equatore, pinguini e leoni marini che si mettono in posa per farsi fotografare. “Qué lindo!”. L’odore è l’unico particolare che stona un po’ con l’armonia delle isole, a tratti è nauseante. Come mai? Una delle risorse fondamentali, motore dell’economia della zona, è il guano, cioè il letame degli uccelli. Negli anni di particolare fortuna si possono accumulare montagnette che raggiungono anche i due metri: “Qué suerte!”
Nel pomeriggio, il nostro “tour operator” ci “scarrozza” nella riserva di Paracas, unica qui in Perù perché deserto e oceano si incontrano e scontrano dando vita ad uno spettacolo naturale che mai avevo avuto il piacere di ammirare. I peruviani qui sembrano diversi, più calorosi, più “sudici” (nel senso di "del sud"). A Lima, invece, a volte, si è così impegnati a diffidare del vicino che i rapporti umani ne escono sacrificati. A Paracas si vive di turismo, forse per questa ragione tutti si fanno in quattro affinché il nostro soggiorno sia perfetto.
Al tramonto, stremati dall’intensa giornata, ci rifugiamo in un baretto sgangherato. Lo scegliamo per il "momento - aperitivo" che si protrae finoa notte fonda. Il proprietario tira fuori le casse del suo impianto stereo e ci propina musica commerciale del momento: Marc Anthony con “que precio tiene el cielo” diviene, da subito, il tormentone della vacanza.
El dìa siguiente…
La mattina inizia ai bordi della Panamericana, temperatura 30 gradi, con l’intento di salire in un autobus per Ica. Dopo un’oretta di tentativi falliti, “conseguimos”. Lungo il tragitto conosciamo un ragazzo simpatico che ad Ica ci conduce fino all’albergo di una sua amica per farci pagare meno: che belle persone si incontrano!
La città non mi conquista: il caldo è asfissiante e non c’è l’oceano. Però troviamo anche qui un pacchetto turistico a cui non si può rinunciare: visita alle cantine di "Pisco" (un vino simile alla nostra grappa sulla cui paternità esiste un'interminabile diatriba tra peruviani e cileni: ovviamente io tifo Perù) con spiegazioni sulla lavorazione e "sandboard" (l'equivalente dello snowboard,ma sulla sabbia) in un’oasi del nel deserto chiamata Huacachina. Tra assaggini di vino e grappe, “sciate” giù per le dune, mi sento ubriaca di provincia, contenta di aver lasciato il caos della capitale in cambio di alcuni giorni di pace.
La sera di Ica sembra voler offrire divertimenti per i turisti. Percorriamo una strada vicina alla piazza principale in cerca di un bar. Io resto due passi dietro a Gigi, un amico italiano. Sento qualcosa che si strappa, con violenza, sul mio collo. Non ho il tempo per capire. Tutto è così rapido. Quando mi volto, due ragazzi stanno già correndo nella direzione opposta con la mia borsettina nera. Cerco di urlare “al ladrooo!” con tutta la voce che ho, ma dalla bocca non esce nulla, resto come paralizzata, incredula. Gigi si precipita, cerchiamo insieme di correre dietro ai due ladri; due ragazzi non ci lasciano passare. Nessuno ci aiuta. Gigi vuole continuare. Io ho paura, la strada è buia. “Cazzo, mi hanno rubato tutto!”
In lacrime raggiungo un centro internet, chiamo a casa. In Italia sono le 5.30 del mattino, devo aver svegliato tutti; ma in quel momento ho solo voglia di casa e di piangere un po’. Nella disperazione più totale riesco a trovare un momento di lucidità per comunicare a mia sorella le coordinate per bloccare la carta di credito. Le avevo annotate nell’agenda per scrupolo, non pensavo di doverle usare davvero.
Sapevo di dovere essere sempre attenta, sapevo anche di non dovere mettere tutte le cose di valore nello stesso posto. Pensavo che la mia borsettina nera,minuscola, fosse sicura. Pensavo che dopo un mese e mezzo a Lima sarei stata pronta ad ogni tipo di situazione. Ho peccato di superbia.
Mi arrabbio con la mia ingenuità. Mi arrabbio per i mille “se” che avrebbero potuto evitarmi il furto.Mi sento debole e vulnerabile.
Il viaggio continua. L’itinerario prevedeva una tappa a Nazca, prima del rientro. L’umore è sotto terra. Mi sento stupida per essermi fatta derubare come una qualsiasi turista “gringa” sprovveduta. Orgoglio ferito e sicurezza minata.
Di ritorno a Lima, tutto è un po’ diverso. Devo ricostruire poco a poco il mio equilibrio.
(da provincia.ap.it)
Serena D'Angelo
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