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"Leaving Songs" (Beggars Banquet, 2006) |
Stuart A. Staples “Leaving Songs”
Etichetta: Beggars Banquet Brani: Old Friends No.1 / The Path / Which Way The Wind / This Road Is Long / One More Time / Dance With An Old Man / That Leaving Feeling / Already Gone / This Old Town / Pulling Into The Sea
Certe voci. Certe voci non ti danno la possibilità di scegliere. Raccontano di storie che non vanno per il verso giusto e lasciano cicatrici sul cuore, e lo fanno senza mai rinunciare alla bellezza. Certe voci hanno dentro già tutto. Certe voci tirate su a delusioni ed alcool. Quella di Stuart Staples è una di queste, col suo timbro inconfondibile che ne fa strumento insostituibile di struggimento e fascino. Una voce che ha traghettato per oltre un decennio la sua band, i Tindersticks, con un’inestirpabile estetica della sconfitta. Leaving Songs è il secondo album solista di Stuart, dopo Lucky Dog Recordings ’03-’04 dello scorso anno, che peraltro era una raccolta disarticolata di canzoni registrate in casa e che lascia al nuovo disco il gusto di un esordio.
L’influenza che Nick Cave ha sempre esercitato su Staples viene fuori nella sua prova solista ancora più che nei dischi dei Tindersticks. Risale a dodici anni fa il mio primo fugace contatto con Stuart: ricordo su un vecchio numero di Rockstar l’intervista ad una promettente formazione di Nottingham il cui cantante dichiarava il suo amore per Cave con queste parole «lui ha realizzato i dischi più importanti degli ultimi anni». Dichiarazione di un certo peso, soprattutto perché fatta mentre stava uscendo Let Love In e qualche anno prima che venissero dati alle stampe The Boatman’s Call e No More Shall We Part, dischi che, supponiamo, a Stuart siano piaciuti non poco. E allora non ci si può sorprendere se Old Friends No.1, brano d’apertura di Leaving Songs, contenga versi di un abbandono grigio fumo («we flattened everything that stood in our path/now I wake up and have to find myself through all the shit that once told me who I was») e la semplice e diretta One More Time suoni come una meraviglia pianistica del Nick Cave più intimista.
Gli arrangiamenti dell’album sono sempre discreti, gravi ed eleganti, dall’originale miscuglio di fiati ed archi di Which Way The Wind all’austerità coheniana di Already Gone. I duetti, vero pallino dell’artista, stavolta sono due: This Road Is Long con Maria McKee e That Leaving Feeling con Lhasa de Sela. Come sempre manca il pezzo che ti stende. Stuart è così, lavora ai fianchi, non ama il clamore e non vuole addosso niente più di qualche luce soffusa. Interessato ad una comunicazione nient’affatto immediata, traghetta l’ascoltatore verso la bellezza per un percorso ambiguo e ombroso. E a conti fatti, sono davvero pochi gli artisti capaci di essere fascinosi anche proponendosi nell’assoluta nudità di un pezzo solo voce, come fa Stuart in Dance With An Old Man senza perdere, semmai aumentandolo, il suo potenziale seduttivo.
Per dichiarazione dello stesso autore, Leaving Songs è una sorta di chiusura del cerchio, un ritorno a quella country music che, anni fa, ha saputo indicare ad un cantante in erba la via migliore per scrivere canzoni. Ed è stato questo, insieme al bisogno di andare in qualche posto lontano, il motivo che ha spinto Stuart a registrare il suo disco a Nashville, negli studi di Mark Nevers dei Lambchop. E’ puro country This Old Town, malinconico rincorrersi di piano e slide guitar. Anche l’aria del vecchio west sembra donare a questo cantore dei solitari che continua impassibile a raccontare l’inquietudine e la deriva del vivere con le sue ballate. Per mezzo di una voce che spazza tutto, rami secchi e ponti sfilacciati, groppi in gola e muri abbattuti, come quando si va via sul serio, via per sempre, via da tutto ciò che ha dato il suo piccolo contributo alla rovina di un amore, e non si può fare a meno di cantare queste ‘canzoni di partenza’.
Nel frattempo i Tindersticks sono in stand by. Un decennio di carriera si è chiuso ma prima o poi torneranno a proporre la loro musica, rinnovati nelle prospettive e nell’approccio. Bisognerà avere pazienza però, torneranno soltanto quando saranno davvero pronti.
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Pierluigi Lucadei
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in Vetrina |
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il 15 Jul 2006 alle 15:22 |
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