Leonard Cohen @ Lucca, 27.07.08
Ci si può lasciar trascinare dalle emozioni, chiudere gli occhi e volare via, ci si può abbandonare ai ricordi, perdersi in dettagli che si illuminano all’improvviso, si può cantare a memoria le canzoni, cantarle con la stessa solennità con cui si cantano gli inni nazionali. Ci sono diversi modi di ascoltare le canzoni di Leonard Cohen. Ci si può anche concentrare fortemente sulle parole, è questo che faccio io ogni volta e più che mai stasera che il maestro canta a pochi metri da me, perché ogni parola ha il suo peso specifico, ogni parola ha nella canzone che la contiene uno spazio perfetto per il suo potere, ha suggestione tale da poter vivere anche sola, ma inserita nel contesto canzonettistico del pop arriva con intensità stordente. Così cerco la bellezza in ogni verso, scelgo i termini della comunione poetica, e nella terzina di somma grazia («remember when I moved in you/and the holy dove was moving too/and every breath we take was Hallelujah») cado in ginocchio insieme al maestro. (P.L.)
LUCCA - Leonard Cohen si è ripreso il palco, dopo quindici anni di assenza. Che lo abbia fatto per amore dell’arte o per rimpinguare il conto in banca dopo la truffa subita dall’ex manager Kelley Lynch poco importa. Anzi, il fan è per definizione egoista, e, se davvero fosse stato l’improvviso ritrovarsi in bolletta ad aver spinto il maestro canadese a tornare a cantare dal vivo, sarebbe capace di salutare la rovina economica come salvacondotto per la poesia. Tutto pur di vivere l’emozione di vedere e sentire Cohen così da vicino.
Il maestro si presenta alle 21,30 precise. Il pubblico di Lucca gli tributa una standing ovation appena lo vede entrare in scena, vestito con uno Stetson nero, pantaloni e gilet dello stesso colore, camicia grigia. Ogni movimento tradisce un carisma nient’affatto appannato dall’età. Nonostante il prossimo 21 settembre le candeline saranno 74, Cohen scivola sul palco, si piega sulle ginocchia, ammicca, sorride sornione e sexy.
L’impatto iniziale è pietrificante: parte Dance Me To The End Of Love, «dance me to your beauty with a burning violin», lui canta perfetto, tutti in Piazza Napoleone sono ammutoliti. Via via l’atmosfera diventa più intima, quell’incantevole (auto)ritratto di outsider che è Bird On A Wire regala brividi e scoglie i cuori. Cohen lo esegue con una classe che non ha paragoni, il suo è un crooning elegantissimo, con arrangiamenti lontani dal cantautorato spoglio degli esordi, parente stretto invece del suono raffinato degli ultimi lavori. Everybody Knows e In My Secret Life sono impeccabili, Hey, That’s No Way To Say Goodbye riporta all’epoca di quel debutto, “Songs Of Leonard Cohen”, col quale il nostro fissò per la prima volta su un disco – quarant’anni fa – dieci delle sue perle. La prima parte del set si chiude con Anthem e quel ritornello di pietra, duro e inamovibile («ring the bells that still can ring/forget your perfect offering/there is a crack in everything/that’s how the light gets in»).
Si riprende con Tower Of Song, sulla cui coda Cohen ironizza sul suo percorso di ricerca spirituale, seguita da una versione povera, il meno celebrativa possibile, di Suzanne, comunque bellissima. Hallelujah è per il sottoscritto il momento di massima intensità, con Cohen inginocchiato come in preghiera per alcuni dei suoi versi più belli di sempre e l’hammond divino di Neil Larsen a fare il resto. Una irresistibile Take This Waltz accompagna alla seconda pausa con il fantasma di Garcia Lorca – nascosto nel testo della canzone – che esce dal palco saltellando insieme al maestro. Nei bis l’atmosfera ormai è di fuoco, in molti si sono alzati dai posti a sedere e sono finiti sotto il palco. Per il ritornello di So Long, Marianne il pubblico è con le mani al cielo, il pezzo è epocale, la resa live nella splendida Lucca di fine luglio anche. A questo punto ogni canzone è una festa. Lo è First We Take Manhattan, lo è Sisters Of Mercy. Lo sono forse ancor di più Closing Time e I Tried To Leave You. Per non parlare di If It Be Your Will, prima recitata da Cohen e poi cantata dalle Webb Sisters con un accompagnamento fatto di sole chitarra acustica e arpa: se l’Amore avesse una melodia e delle parole, sarebbe qualcosa di molto simile a questa meraviglia.
Dice l’adagio popolare che qualunque cantautore al mondo darebbe via il proprio canzoniere in cambio di un solo verso di Leonard Cohen. Dopo il tour del 2008 l’adagio si potrebbe arricchire di una seconda parte: quale rocker non venderebbe l’anima al diavolo per potersi permettere a 74 anni di reggere quasi tre ore di live con la scioltezza del playboy e la regalità del sommo poeta? Uno dei suoi ammiratori più celebri, Kurt Cobain, cantava in una canzone «give me a Leonard Cohen afterworld, so I can sigh eternally», cogliendo in pieno il potere di parole che sanno durare come l’eternità. Per questo la poesia continua a dire grazie a Leonard Cohen.
Setlist: Dance Me To The End Of Love The Future Ain’t No Cure For Love Bird On A Wire Everybody Knows In My Secret Life Who By Fire Hey, That’s No Way To Say Goodbye Anthem ----- Tower Of Song Suzanne The Gypsy’s Wife Boogie Street Hallelujah Democracy I’m Your Man Take This Waltz ----- So Long, Marianne First We Take Manhattan Sisters Of Mercy If It Be Your Will Closing Time ----- I Tried To Leave You Wither Thou Goest
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