di Vincenzo Luciani*
“Gli uomini vogliono sempre essere il primo amore di una donna, le donne desiderano essere l’ultima storia d’amore di un uomo”.
(Oscar Wilde)
L’adolescenza non è tanto il tempo dell’amore quanto quello dell’innamoramento. L’innamoramento, come è ovvio, può fare mostra di sè anche in altre epoche della vita, tuttavia, costituisce la modalità adolescenziale per eccellenza del legame amoroso. Senza dimenticare che essa è anche l’epoca in cui può svelarsi che la passione amorosa è portata non su un partner dell’altro sesso bensì su uno dello stesso sesso. Condizione questa che merita tutta l’attenzione ed il rispetto necessari per far sì che questi giovani non siano costretti a subire un’emarginazione culturale ed umana che complica non poco la loro esistenza, sfociando a volte, ancora oggi, in tragedia.
L'innamoramento, soprattutto quando è ricambiato, fa assaporare sensazioni meravigliose che fanno immaginare la vita come un' inesauribile cornucopia. Lo stato d'innamoramento è, infatti, contrassegnato da un vissuto d’ineluttabile predestinazione, accompagnato da un’abnorme alterazione delle emozioni e da un senso di straordinaria completezza. Quando Cupido colpisce, ogni innamorato prova uno sconvolgimento mai provato sin lì, un trasporto enigmatico verso l'altro sfugge ad ogni ragione. Si rimane sbalorditi dinanzi alla constatazione che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Si è attraversati dalla sensazione, quasi delirante, di conoscere da sempre il proprio partner, come se si trattasse di averlo ritrovato piuttosto che di averlo incontrato per la prima volta. Si crede ciecamente che il fato ci abbia, da sempre e per sempre, destinati l’uno all'altra. Non è infrequente, tuttavia, che ci si possa innamorare di qualcuno che non ne voglia sapere nulla di noi. In questo caso l'innamoramento mostra con prepotenza anche l’altra sua faccia, presente anche se quando si è stati lasciati, rivelandosi fonte di un’indicibile sofferenza che contribuisce a distruggere ogni forma di speranza. Si matura, in questo caso, la convinzione d’essere persone senza qualità, di non possedere alcuna attrattiva capace di muovere l’attenzione degli altri. Si finisce con il credere che nella vita non ci sarà mai nessuno che si accorgerà di noi. Così l’innamoramento può contribuire ad acuire ancor di più la crisi personale, propria di questa delicata età di passaggio, rischiando di far rintanare l'adolescente in un isolamento che si rivela, tuttavia, una fortezza di carta incapace di difenderlo da un “risveglio” così doloroso.
E' per questo che dinanzi agli scacchi amorosi si rivela così importante poter contare sull'appoggio e sul sostegno degli altri. A volte possono essere i genitori, ma più di frequente, come recita una canzone di Venditti “ci vorrebbe un amico” che si riveli capace di ascoltare e in grado di dare la forza necessaria per superare queste cocenti delusioni, magari confidando a sua volta quanto anche lui sia impelagato nelle stesse difficoltà e negli identici timori.
L'innamoramento, a differenza dell'amore, presenta due peculiarità: da un lato esalta la persona amata, la idealizza oltre ogni ragionevolezza, dall’altro rivela la scarsa considerazione nutrita verso se stessi. Possiamo, allora, sostenere che l'innamoramento è la modalità più “gettonata” in adolescenza, per cercare di recuperare il narcisismo che, normalmente, ci ha accompagnato fino all’avvento della pubertà. Amando l'altro si cerca di far “brillare” per procura la propria immagine ideale, ciò che si aspira ad essere.
L'innamoramento a quest’età non sfocia necessariamente in una storia vissuta nella realtà. Spesso, soprattutto nella prima adolescenza, è vissuto solo nella propria fantasia. La persona di cui ci s’innamora non saprà mai il posto che sta occupando nei propri sogni. Altre volte, addirittura, si resta infatuati di qualcuno che neppure si conosce personalmente (un attore, un cantante, un campione dello sport, ecc…). Quest' ultimo fenomeno ci fa capire, ancor di più, che ciò che muove segretamente l’innamoramento, è il bisogno disperato di poter credere nell’esistenza di persone percepite nell’immaginario collettivo come la quintessenza della perfezione. Proprio al contrario dell’immagine malcerta che abbiamo di noi stessi, incapaci come siamo di dare un senso alla nostra vita e di comprendere il nostro vero valore.
Dobbiamo, tuttavia, ritenere l’innamoramento adolescenziale come un indicatore positivo del proprio incedere nel mondo perché esso fa segno che ci si è messi in cammino per sottrarsi alle prerogative dell'amore parentale. Infatti, fino a quando l’adolescente rimane imbrigliato nella dipendenza affettiva dalle proprie figure genitoriali non riuscirà a portare il suo interesse amoroso fuori dalla famiglia. Non dobbiamo, in ogni modo, mai dimenticare che ogni adolescente ha un proprio tempo soggettivo per poter elaborare la propria crisi e trovare lo slancio necessario per cimentarsi in una storia sentimentale. A questa meta si arriva sempre in ordine sparso. L’importante non è arrivare primi, bensì arrivare.
Togliendo all’innamoramento, solo per un attimo, il velo di romanticismo che ne occulta i tanti paradossi, possiamo spingerci a considerarlo sia come una malattia (nell’innamoramento si tratta, in fondo, di un errore di persona), sia come un farmaco a cui si ricorre fino a quando non si è capaci di trovare, passando attraverso fallimenti e delusioni, un nuovo rapporto con se stessi ed i propri, inevitabili, limiti.
L’innamoramento, dunque, ha una funzione psicologica fondamentale e non rende giustizia al suo valore esistenziale l’operazione di ricondurlo ad una banale reazione biochimica. Chi vuole ridurlo ad un puro fatto ormonale non sarà mai in grado di spiegare perché ci si innamora proprio di una determinata persona e proprio in quel preciso momento dell’esistenza. E’ molto più semplice e più logico sostenere la tesi contraria: è perché ci s’innamora che mutano i propri parametri biochimici.
Ad ogni buon conto quello che l’esperienza ci mostra è che attraverso i ripetuti innamoramenti si finisce con il capire che costringere l'altro a conformarsi all'abito che gli abbiamo cucito addosso, se, da un lato, ci fa vivere emozioni straripanti, alla lunga si rivela fonte di immensa delusione. Pagandone il prezzo di tasca propria si comprende, infine, che non ci si può attendere la luna: il partner amoroso non è la panacea di tutti i nostri problemi. Per quanto possa essere attento non sarà in grado di rassicurarci completamente sull’eternità del suo sentimento. La gelosia è lì a rimarcarlo. Occorre allora svelate un altro arcano nascosto nell’innamoramento: quando si è innamorati si crede di essere in due ed invece si è sempre in tre. Cosa significa essere in tre? Significa che dietro alla persona di cui ci s’innamora fa sempre capolino l’ombra di un nostro immaginario rivale amoroso. Si ha bisogno di idealizzare il proprio partner perché si ha una paura fottuta di valere meno dei coetanei dello stesso sesso. Ci si sente “secondi” agli altri (anche quando nulla lo dovrebbe far credere). Nell’innamoramento la vera funzione del partner è quella di farci sentire “costantemente” unici. E’ a quest’unicità che ci aggrappiamo, mani e piedi, affinchè il nostro rivale immaginario, quello che come un tarlo continua ad ossessionare la nostra mente, possa essere neutralizzato. Ma questa operazione è destinata, prima o poi, a rivelarsi fallimentare perché in questo mondo non esiste nessun partner capace nel tempo di poter essere all’altezza di un compito impossibile. Ed allora per quanto la nostra ragazza o il nostro ragazzo possano essersi appassionati a noi, il proprio rivale immaginario puntualmente tornerà ad intrufolarsi nel rapporto di coppia finendo con il rovinare la nostra vita e quella di chi ci è accanto. E' per questo che gli innamoramenti adolescenziali, d’altronde come tutti gli altri innamoramenti, non finiscono come pure si vorrebbe. O è l’altro a lasciarci tanto è esasperato dalle nostre assurde e buffe pretese o siamo noi ad abbandonarlo quando ai nostri occhi non presenta più quell’irresistibile fascino che tanto ci aveva attratti. Una volta spogliato degli attributi “divini” non conta più nulla.
All’amore si potrà accedere quando, stufi di essere “giocati” da una sofferenza insensata ci si accontenterà di essere soltanto in due. Si sarà felici di essere in due, quando i nostri rivali immaginari non verranno più considerati tali, perché finalmente sappiamo che anche loro, proprio come noi, presentano dei limiti strutturali. L’amore, a questo punto, permette di essere più indulgenti, più tolleranti, verso l’altro perché lo si è verso se stessi.
Un rapporto d'amore, dunque, si distingue dall'innamoramento proprio perché si acquisisce la consapevolezza che noi, come il nostro partner, siamo ben altro dall'immagine idealizzata che ci ha accompagnato nei nostri sogni infantili. Se nell'infanzia abbiamo potuto credere che la mamma o il babbo erano per noi partner capaci di colmarci totalmente, ciò è avvenuto solo perché essendoci stati preclusi dal divieto dell'incesto ci sono parsi migliori di quanto fossero in realtà. E' il divieto di avere la mamma o il babbo che, inconsciamente, fa sognare ad ogni figlio che il partner in grado di colmarlo diventerà accessibile una volta divenuto “grande”. Ma l’innamoramento adolescenziale essendo una ripetizione dell’Edipo infantile ci fa trovare, proprio come nell’infanzia, ancora in tre: noi, il nostro oggetto d’amore (il genitore dell’altro sesso), il rivale immaginario che può portarcelo via (il genitore dello stesso sesso).
L’amore presuppone, dunque, un processo di disinvestimento del modello amoroso sperimentato nell’infanzia, per poter infine accedere ad una relazione amorosa compatibile con il benessere di entrambi i partner. Ciò richiede del tempo: quello che serve per sostituire all’amore per la mamma o il babbo, l’amore per una donna o per un uomo.
*Direttore Consultorio Familiare ASUR-ZT 12, 13