Le due anime del sommerso nelle Marche, dall'industria ai servizi
Il lavoro sommerso, pur presente nella realtà regionale, non ne costituisce tuttavia un elemento strutturale: è questa l’indicazione che emerge con maggiore evidenza dalla ricerca commissionata dall’assessorato al Lavoro della Regione Marche e condotta dalla Fondazione Censis, illustrata oggi, presso la facoltà di Economia di Ancona, nel convegno " Caratteristiche e scenari del lavoro irregolare nelle Marche ". L’analisi, infatti, riscontra per le Marche un’incidenza del lavoro irregolare del 10,7%, inferiore a quella nazionale (13,4%) e alle regioni del Centro (12,3%). Le stime Istat segnalano addirittura una diminuzione (il tasso di irregolarità del lavoro è passato dal 13,9% del 2000 al 10,7% del 2003) dovuta presumibilmente alla regolarizzazione di numerosi immigrati in nero. La corposa ricerca è stata realizzata su un campione di 80 testimoni privilegiati locali: associazioni imprenditoriali, sindacati, istituzioni e ordini professionali. Introducendo i lavori del convegno l’assessore regionale Ugo Ascoli, ha sottolineato che la dimensione del fenomeno dell’economia sommersa nella nostra regione, pur non essendo grave come in altre regioni italiane, soprattutto meridionali, non è tuttavia trascurabile. L’indagine mette in evidenza che il sommerso riguarda più il settore dei servizi che non quello industriale e in particolare l’edilizia, dove, in correlazione, è più alto anche il numero di infortuni sul lavoro. Secondo Ascoli , il fatto che il sommerso coinvolga le fasce più svantaggiate (lavoro femminile, basse qualifiche, lavoro immigrato o minorile) deve creare la consapevolezza di un fenomeno socialmente deprecabile e come tale da combattere. "Con quali strumenti?" Si è chiesto Ascoli. "Con il sostegno all’imprenditoria giovanile, riducendo i fattori di svantaggio per la competitività delle imprese, con una maggiore attività ispettiva e repressiva, con il consolidamento dei fattori dell’innovazione e della qualità produttiva." E’ riscontrabile infatti che quando il valore aggiunto della produzione e quindi di manodopera qualificata, si concentra sulla tecnologia, l’innovazione, l’internazionalizzazione, per l’impresa l’incentivo ad utilizzare il sommerso è basso. Nella nostra regione esiste un sommerso di tipo tradizionale e uno di tipo post-industriale, caratteristica che ha fatto parlare il direttore del Censis, Giuseppe Roma, di "doppia anima del sommerso marchigiano". Il primo è fortemente legato alle caratteristiche del sistema produttivo, di cui ha rappresentato forse uno dei principali motori di crescita, il secondo è cresciuto all’ombra dei processi di terziarizzazione che hanno fatto progressivamente trasmigrare l’irregolarità, d’impresa e di lavoro, dall’industria al terziario. "Queste due anime ancora coesistono.", ha detto Roma. La prima sopravvive in alcuni specifici comparti del manifatturiero e si presenta come sommerso parziale, fatto di fuoribusta, di utilizzo improprio dei contratti, di sottodichiarazioni: insomma di tutte le forme di elusione delle norme. Il lavoro totalmente irregolare trova spazio solo nei confronti di specifiche categorie di lavoratori: doppio lavoristi, pensionati, percettori di sussidi o integrazione al reddito. Il sommerso post industriale è, invece, in crescita. Legato alla terziarizzazione, ma non estraneo all’industria, tende ad assumere i tratti tipici dell’economia terziaria. Assume forme più pesanti in quei contesti – servizi a domicilio, turismo, trasporti – dove l’invisibilità dei luoghi di lavoro, la stagionalità, il basso livello di qualificazione, sono gli elementi caratterizzanti. Viene totalmente esclusa, nelle Marche, la possibilità che il sommerso sia determinato dall’ingerenza di fenomeni criminali e tanto meno dalla carenza di aree industriali. Al convegno sono intervenuti anche Stefano Staffolani e Carlo Carboni, economista e sociologo dell’Università Politecnica delle Marche, e Lea Battistoni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Altre caratteristiche del lavoro sommerso nelle Marche
L’analisi per territori provinciali
Il quadro territoriale è molto più articolato, per cui se nella provincia di Pesaro e Urbino il fenomeno, quando presente, sembra essere esclusivamente legato a settori caratterizzati da alta ciclicità, nell’Anconetano e nella provincia di Ascoli il giudizio è più ambivalente, dal momento che più di un terzo degli intervistati giudica il sommerso una realtà più radicata nell’economia locale. E’ la provincia di Macerata a registrare però un livello di imprese irregolari rilevanti – ben il 61,3% -: un valore superiore anche a quello nazionale. Imprese che evadono con sistematicità non raggiungono il 7% nell’area di Pesaro, la percentuale si raddoppia nell’anconetano e nell’area di Ascoli Piceno (13% e 15,5% rispettivamente), per poi raggiungere il 24,2% nel maceratese.
All’interno della regione, il fenomeno dell’irregolarità lavorativa tra gli occupati dipendenti appare accentuato nelle province di Macerata, dove l’incidenza del lavoro sommerso arriva al 21%, Ancona (19,9%) e Ascoli Piceno (18,3%), mentre è Pesaro e Urbino la provincia che si presenta da questo punto di vista più virtuosa (11,7%).
I settori
Tassi di irregolarità non irrilevanti si registrano per agriturismo e campeggi (17,7%), alberghi (15,9%), piccoli esercizi commerciali (15,3%), mentre al sommerso si sottrae la grande distribuzione (3%). Così come viene coinvolto nell’utilizzo di lavoro irregolare anche il terziario più avanzato: servizi sociali (12,3%), intermediazioni immobiliare (11,2%), servizi di consulenza alle imprese e ai privati (7,7%) e servizi informatici (6,5%).
Nel confronto la produzione industriale mostra un’incidenza ridotta, con valori più elevati nel tessile, abbigliamento, calzaturiero (17,5%), che scendono al 10,9% nel comparto del legno e al 10,5% nella meccanica. L’articolazione del sommerso per settore spiega anche la tipologia di soggetti coinvolti nel fenomeno. Sono, infatti, secondo il 59,7% degli intervistati gli immigrati la categoria maggiormente interessata dal lavoro irregolare. A questi si affiancano i giovani in cerca di prima occupazione (indicati come la categoria più coinvolta dal 40,3%), una componente estremamente debole sul lato dell’offerta di lavoro. Seguono i pensionati (35,8%), quindi i lavoratori in mobilità, in cassa integrazione e i percettori di sussidi (26,9%): tutti soggetti appartenenti a categorie che lavorano in nero per continuare a cumulare fonti di reddito diverse.
Attualmente nelle Marche, secondo le stime dei testimoni locali, 27,5 immigrati su 100 lavorerebbero in nero, con una leggera prevalenza di lavoratori immigrati sommersi nel territorio di Ancona, dove la media salirebbe al 32,6%.
Se si esclude il lavoro nero prestato da immigrati che viene indicato al primo posto, occupano una posizione secondaria il secondo lavoro irregolare (95,4%), il lavoro sommerso autonomo (95,2%), il commercio ambulante abusivo (92,3%), le imprese emerse con lavoro irregolare (92,2%), il lavoro dipendente totalmente sommerso (89,2%), la ricerca di lavoro irregolare da parte di disoccupati che usufruiscono di sussidi (84,6%) e le imprese totalmente sommerse (76,8%).
Fenomeno emergente ed in veloce espansione è infine la diffusione di laboratori cinesi che operano nel comparto tessile, nel Pesarese, molti dei quali in condizioni di totale irregolarità. Un fenomeno che inizia ad essere così visibile che alcuni interlocutori parlano ormai di una Chinatown del jeans frutto di una delocalizzazione "in loco". Alcuni parlano addirittura di 300 laboratori in zona dove si lavora ininterrottamente, non esistono ferie né festività. Le aziende sono quasi tutte non registrate ed il lavoro non regolare è totale. Malgrado la presenza di tali laboratori irregolari è tuttavia da sottolineare che, a differenza di altre comunità cinesi presenti in Italia, quella di Pesaro Urbino conta anche un alto numero di dipendenti con contratti regolari presenti nelle aziende italiane, tipicamente stirerie e lavanderie. Sono a tutti gli effetti lavoratori regolari, ben inseriti da anni nella realtà.
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