La colonna sonora di Michelangelo
Un’equipe dell’Università di Firenze ha scoperto che l’insolito interno cilindrico del cinquecentesco campanile del Duomo di Pietrasanta ha le stesse misure della Colonna Traiana. Solo un caso? Il progetto è così complesso da poterlo attribuire solo al genio di Buonarroti. In mostra all’Impruneta.
FIRENZE – Il cinquecentesco campanile del Duomo di Pietrasanta, parallelepipedo di solido laterizio alto oltre 30 metri, svela due segreti più che sorprendenti. Il primo: la canna interna, di forma insolitamente cilindrica, ha le stesse misure della colonna Traiana che a Roma torreggia sui Fori Imperiali. Il secondo: con ogni probabilità si tratta di un progetto di Michelangelo, tanto pazzo quanto geniale, ideato con il preciso scopo di produrre, grazie alle campane, una stupefacente colonna sonora, il suono autentico di un’antica ed epica colonna di marmo. Di questa ipotesi affascinante, fin qui sconosciuta alla storia dell’arte, è convinto, non senza fondamenti, Gabriele Morolli, ordinario di Storia dell’Architettura all’Università di Firenze e specialista di Michelangelo, che nella mostra sul VII centenario del Cotto dell’Impruneta (www.imprunetacotto.it, fino al 26 luglio, promossa dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e dal Comune) anticipa con una serie di pannelli rivelatori i risultati di una recentissima ricerca sul campanile condotta da un gruppo di studiosi in previsione di un’importante esposizione che Pietrasanta dedicherà a Michelangelo nel 2010. L’inedita struttura interna del campanile, spiega il professore, è scavata da una grandiosa scala a chiocciola autoportante, sempre in mattoni, che sale alla cella campanaria con tre avvitamenti e un centinaio di gradini. Commissionato dalla Collegiata di S. Martino, l’edificio fu realizzato intorno al 1520 da Donato Benti, un collaboratore di Michelangelo. Il quale, tra il 1516 e il 1520, aveva soggiornato a lungo a Pietrasanta per seguire il nuovo bacino marmifero locale su incarico di Leone X (figlio di Lorenzo il Magnifico). Quel papa mediceo aveva infatti acquisito la Versilia allo Stato Fiorentino per affrancarsi dal monopolio straniero delle millenarie cave di Carrara, in vista di opere ciclopiche e costose quali la nuova basilica di S. Pietro a Roma e, a Firenze, la facciata marmorea della chiesa di S. Lorenzo, progetto affidato al Buonarroti e mai realizzato. Il campanile, ricorda Morolli, ha base quadrata (8 metri di lato) e sale in quota con le facciate leggermente inclinate all’indietro e rigate da aggetti e rientranze dei mattoni destinati ad accogliere il rivestimento in lastre di marmo, idea poi inattuata. La sorpresa è tutta nelle misure della canna interna, anch’essa rastremata. I rilievi di Enrico Venturini, collaboratore di Morolli, non mentono: stessa base, altezza e dimensioni della colonna Traiana a partire dal modulo-diametro (18 palmi romani, circa 4 metri) scelto da Apollodoro di Damasco per tramandare nel marmo le imprese dell’imperatore Traiano con il primo monumento coclide della storia (all’esterno rilievi a spirale continua, all’interno, fino in vetta, una scala a chiocciola). Anche il computer conferma l’ipotesi che il nucleo poetico dell’invenzione della vite di Pietrasanta altro non fosse che l’idea di riprodurre fedelmente, ma in inquietante negativo, le forme della colonna Traiana. E’ un’invenzione architettonica di straordinaria complessità geometrica e geniale sapienza tecnologico-costruttiva, aspetti uniti a un ardito riuso delle forme dell’arte edificatoria romana. Aggiunge Morolli: “Difficile attribuire un capolavoro del genere al modesto Benti. Più facile immaginare il genio divino e capriccioso di Michelangelo che, per gioco o sfida, ha usato quel suo collaboratore per realizzare un manufatto capace di ricreare l’armonia della celebre colonna non attraverso forme visibili, percepibili dall’occhio, ma tramite la propagazione e l’amplificazione del suono delle campane: una grandiosa, cava, eterea colonna sonora”. Che fosse magari un esperimento? E’ una delle ipotesi del professore. Forse Michelangelo pensava di applicare l’idea a progetti più emblematici (appunto S. Pietro Vaticano o il fiorentino S. Lorenzo). Tema peraltro appassionante la scala coclearia, che in quell’inizio di Cinquecento stava coinvolgendo i massimi architetti: da Bramante (la scala a vite nel Cortile del Belvedere in Vaticano) a Leonardo (lo scalone a chiocciola al centro del Castello di Chambord), ad Antonio da Sangallo il Giovane, con la doppia rampa del Pozzo di S. Patrizio a Orvieto.
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