E gli After ci riprovano. Dopo il successo ottenuto con il primo capitolo, Non usate precauzioni – Fatevi infettare, è arrivato Io non tremo, seconda tappa di un percorso monografico che racconta, attraverso interviste, filmati live, foto inedite e prezioso materiale d’archivio, la storia di quella che è probabilmente la band alt rock più importante del panorama italiano. Cambiamenti di lineup, mescolanze musicali, anarchiche provocazioni di un rock distorto e sempre spiazzante per la nostra scena (ma capace anche lei di avvertire il contagio di un’infezione beffarda e poetica). Questi gli Afterhours, questi Manuel Agnelli (M.) e Giorgio Prette (G.), cantante e batterista della band milanese, che abbiamo incontrato durante la promozione dell’ultimo lavoro.
A pochi mesi da Non usate precauzioni, che raccoglie la vostra storia dall’85 al ‘97, arriva Io non tremo, a documentare il decennio ‘97/’07. Da dove nasce la necessità di questa antologia, di questo racconto lungo vent’anni? (M.) Direi che onestamente tutto questo non è nato con ‘esigenze’, in quanto eravamo noi stessi privi dell’effettiva consapevolezza di realizzare un simile prodotto, o meglio: non erano questi i piani di partenza. L’idea di fare un dvd inizialmente ci è venuta con la semplice volontà di una raccolta riferita al tour di Ballate per piccole iene, con immagini live che restassero quindi circoscritte al solo periodo 2005. Poi, per tutta una serie di motivi fra i quali il tour americano, la sua lavorazione ha subito un rallentamento, il tempo è passato e l’idea è restata sospesa per un po’ con i materiali che invece nei mesi si andavano accumulando. Ne è uscito fuori un vero e proprio work in progress, col tempo che andava e nuovi elementi che venivano buttati dentro. Così abbiamo continuato a recuperare ogni video o fotografia che ognuno di noi avesse in casa, gli abbiamo dato una sistemata, e in un annetto il lavoro ha effettivamente preso la forma di questo ammasso di ricordi, di un’antologia.
Praticamente nel suo complesso il catalogo raccoglie a puntate tutto il progetto Afterhours. Cos’è cambiato per voi in questi anni di attività? (G.) Se ti avessimo dovuto rispondere in un giorno qualsiasi di questi venti anni probabilmente ti avremmo detto nulla: le cose si evolvono in realtà così lentamente per cui i cambiamenti non li vedi certo giorno per giorno. Ma in realtà è successo molto, e andando a scavare a ritroso ci siamo resi conto di quanta porzione della tua nostra vita ormai gli After rappresentino, per me e Manuel soprattutto.
Avete iniziato a metà anni ’80, segnalandovi subito come uno dei nomi più promettenti del ‘nuovo rock italiano’. In venti anni anche il panorama musicale intorno a voi è cambiato. Come è cambiato, e che nome ha la scena rock italiana oggi? (G.) Qui si parla di vere e proprie ere. C’è stata l’epoca pionieristica degli anni ’80 in cui c’era un pubblico molto scarso quantitativamente ma molto curioso, molto attivo, molto partecipativo, in cerca come noi di qualcosa che fosse diversa da quella che i canali principali proponevano. Negli anni ’90 invece c’è stato un cambiamento dovuto al fatto che tutti i gruppi sotterranei storici iniziassero ad avere la possibilità di uscire dalle cantine e di girare l’Italia, cosa magari impensabile prima. E così fino ad arrivare a quello che è il momento attuale: commercio globale e sperimentazioni. (M.) Sicuramente la scena rock è cambiata molto, soprattutto a livello di varietà e dal lato professionale e tecnico. Ma lo dico sempre e lo ripeto: quello che manca è un po’ di incoscienza. Su questo punto forse il passato è da rimpiangere: sarà perchè forse c’era veramente meno da perdere, ma i gruppi osavano di più, facevano di tutto per essere un po’ più personali e rifarsi meno a quello che arrivava da fuori. Ancora oggi vedo troppi cloni, anche a livello attitudinale, ed è come se rendessero la nostra scena per buona parte una storpiatura di quello che si pensa possa succedere in Inghilterra o in America.
Componenti che vanno, correnti musicali che si mescolano, aperture e sperimentazioni. Ma qual’è la cosa a cui sempre siete stati fedeli in questi anni di evoluzione? (M.) Abbiamo capito che la forza di una cosa sta nell’intensità e soprattutto nella sincerità con cui la si fa: se capisci questo puoi sbattere la verità in faccia a chiunque. La nostra formula è usare degli ingredienti anche contrastanti tra loro come l’ironia e la poeticità; e poi mai prendersi troppo sul serio, perché ciò è limitante e rischia di chiuderti la testa.
Mettiamola così: magari non state vendendo centinaia di migliaia di copie, ma finalmente anche all’estero iniziano a prendervi sul serio (vedi l’incessante attività live tra Europa ed Usa). L’apertura al panorama internazionale è un pò una specie di seconda gavetta, ma ben venga, no? (G.) Certo, ma è pur vero che è una gavetta che onestamente non possiamo permetterci di fare, perchè non possiamo pensare di investire quindici anni per avere dei risultati in America. In realtà l’estero in generale è più che altro una questione di confronto, di arricchimento, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista musicale. È una fonte di stimolo inesauribile, ed è soprattutto questo che conta, permettendoti anche di apprezzare di più ciò che hai a casa tua. Penso che il rischio sia sempre quello di abituarsi e di sedersi sugli allori, e invece in questo modo si hanno continuamente nuovi input e nuovi stimoli che portano ad evolverti. Ma in realtà non abbiamo la chimera né l’obiettivo di diventare famosi in America o in Europa…(attimo di silenzio) (M.)…e se poi succede non è che….
…che vi fa schifo! No..!
Che consiglio dareste a chi decide oggi di far musica? Sono convinto della banalità di questa domanda; penso che la risposta non vada ricercata in alcuna intellighenzia musicale: persistere persistere persistere è quello che occorre: suonare fino all’osso, e stop (e solo con la consapevolezza di far buona musica, altrimenti ciao). E voi che dite? (M.) Quello che hai detto: suonare col bisogno di avere qualcosa da comunicare e fare di tutto per riuscire ad alzarsi da situazioni difficili, senza scoraggiarsi.
Finiamola qui, un pò alla marzullo (che fa trash): vent’anni: quanto c’è negli Afterhours di oggi dei desideri e delle speranze di quegli inizi? (M.) …Pensavo che mi avresti detto “fatevi una domanda datevi una risposta”. Comunque lasciando da parte il trash ti dico che c’è ancora molta curiosità per quello che possiamo fare, perché semplicemente abbiamo ancora tanta voglia di fare.
Grazie, ed in bocca al lupo per tutto!(M.) Grazie a voi, alla prossima.