Selvaggi e sentimentali: considerazioni sul mondo del pallone
Il più importante scrittore spagnolo dei nostri giorni, Javier Marias, nel 2002 ha raccolto i suoi scritti sul calcio in uno splendido libro "Selvaggi e sentimentali". Nelle prime pagine di questo libro Marias parla del calcio come lo sport più angoscioso che esista. "Anzi", racconta, "è tra le cose che mi fanno reagire allo stesso modo - esatto - in cui reagivo quando avevo dieci anni ed ero un selvaggio, il vero recupero settimanale dell'infanzia". In una delle settimane più buie della storia del calcio, è utile ricordare a quanti sembrano non aver approfittato per niente della pausa di riflessione che il mondo del calcio ha voluto prendersi, che la violenza negli stadi è, certamente, una piaga gravissima per l'Italia, ma le cause vanno ricercate nella società stessa. Il calcio è uno sport che scatena angoscia, rabbia, delusioni, ma anche gioie, piacere, grida e festeggiamenti. Il calcio è uno sport che amplifica i sentimenti più profondi e irrazionali degli uomini. E' per questo motivo che lo amiamo così tanto, è per questo motivo che facciamo sforzi e sacrifici per seguire la squadra del cuore in ogni parte d'Italia. Il calcio, però, come hanno ricordato le sciagurate parole di Matarrese, è anche business, soldi e lavoro per migliaia di persone. The show must go on, lo spettacolo deve continuare, si è detto. Ma alla lunga, è inevitabile che la corda si spezzi. Il calcio è lo specchio della società, ne distinguiamo le sue virtù, le sue passioni, ma anche i suoi mali e i suoi vizi. La violenza è parte della società, ne conosciamo innumerevoli esempi, quella negli stadi ne è solo una forma. La corruzione nella sfera dirigenziale e amministrativa è una pratica purtroppo ben nota in Italia, "calciopoli" ne è la traduzione nel calcio. La mancanza di legalità, il non rispetto delle leggi ed il mancato compimento della pena sono una particolarità tutta italiana tanto nel calcio quanto nella vita di tutti i giorni. In un mondo ideale basterebbe comprendere il malessere della collettività per evitare episodi come quello appena accaduto. Nel mondo reale, invece, si inaspriscono le regole senza pensare che tali regole esistevano già ma non venivano applicate. Samb-Salernitana è stata una di quelle partite rabbiose, cattive, piene di colpi di scena. Una di quelle partite che ti fa balzare dalla sedia, che provocano ira, malumore e nervosismo. Una di quelle classiche partite che, se caricate dalla stampa e dalle chiacchiere da bar durante la settimana e, condite da un pizzico di rivalità, possono scatenare la cosiddetta scintilla che fa esplodere la polveriera. Gioco maschio, tanta cattiveria in campo, scorrettezze, perdite di tempo, una direzione di gara assolutamente inadeguta, gestacci dei calciatori, cartellini gialli e rossi dati un po' alla rinfusa. Basti pensare a Samb-Viterbese di qualche anno fa. Inutile, quindi, riempirsi la bocca di perbenismo da quattro soldi. Inutile colpevolizzare una categoria per lo sconsiderato gesto di un singolo. C'è da farsi un esame di coscienza, tutti quanti insieme, calciatori, dirigenti e tifosi, tutti allo stesso modo. La tanto declamata Inghilterra è riuscita a sconfiggere il fenomeno hooligans con una cultura del rispetto e della legalità su ogni fronte: dai giocatori in campo, veri e propri esempi di lealtà sportiva, agli stewart sugli spalti, non più agenti in tenuta antisommossa, ai tifosi, che sono riusciti ad isolare le frangie più violente, alle tv, che non condizionano lo svolgimento dei campionati, fino ai dirigenti, che accettano i risultati dei campi senza ricorrere a telefonate o a sequestri di arbitri negli spogliatoi. In Italia, invece, Simona Ventura, da un lato colpevolizza e sputa sentenze, dall'altro strizza l'occhio e si commuove alle parole di Luciano Moggi, senza comprendere che i morti "che fanno parte del sistema", per citare ancora una volta l'acutissimo Matarrese, sono vittime di un modo di pensare e di comportarsi di cui ci dobbiamo sentire tutti un po' responsabili, nessuno escluso.
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