la Guerra è Pace
DOV’E’ LA GUERRA? Spunti di riflessione partendo dal Libano La guerra è pace. La pace delle nostre tavole imbandite dove ogni giorno, da anni, i media ci riversano sopra immagini di morte. La guerra è diventata normale, un’abitudine, uno scenario videotrasmesso da mettere come sfondo durante le ore dei pasti. Ci siamo talmente abituati che ormai distinguiamo a fatica le zone di guerra. Stazioni, grattacieli, campi profughi, metropolitane, mercati, alberghi, piazze, aerei, case, ospedali, caserme. Ed ancora, New York, Kabul, Madrid, Londra, Beslan, Grozny, Baghdad, Sharm El Sheikh, Gaza, Tel A viv, Beirut. Questi luoghi e questi nomi non sono altro che le “hit” in vetta alla classifica dell’orrore, ma potremmo continuare. Continuare fino a tracciare una mappa della paura che non ha confini. La guerra è ovunque. Ha diverse forme e diversi gradi d’intensità, ma è sempre e comunque la stessa guerra.
La faccia bonaria di Prodi ci dice che la situazione mondiale a causa del conflitto in Medioriente è grave, ma noi però siamo al sicuro. Amato e Mastella confermano, l’Italia non è in guerra. Mentono sapendo di mentire! I più di 800.000 profughi che fuggono dal Libano arriveranno anche in Europa alla ricerca di una vita da rifare. Arrivati qua, dopo aver affidato la loro vita ad improbabili imbarcazioni, troveranno ad accoglierli i CPT, la legge Bossi-Fini, i controlli e la repressione delle forze dell’ordine, il lavoro nero, sfruttato e mal pagato, la microcriminalità e lo spaccio di droga. Ingrosseranno le nostre periferie e le rivolte in un paese di lunga tradizione di migranti come la Francia, ci mostrano un possibile prossimo scenario europeo. L’ENI, una delle principali industrie italiane, è una delle azioniste dell’oleodotto Ceythan-Tblisi-Baku (BTC) che collega il mar Caspio al Mediterraneo orientale. Un oleodotto che aumenterà sostanzialmente le importazioni petrolifere israeliane e le riserve americane, tagliando fuori Russia, Cina ed India. Un oleodotto che, guarda caso, è stato inaugurato il 13 luglio 2006, data dell’inizio della guerra in Libano. Per dovere di cronaca l’ENI è ugualmente azionista dell’oleodotto in Iraq, che, guarda caso, passa proprio sotto Nassiriya. I potentati economici – banche, multinazionali, corporation, ecc… - che, insieme ad alcuni Stati Nazione si arricchiscono con il business della guerra, sono quotidianamente finanziati dalle nostre spese. La merce acquistata con le nostre mani in uno scaffale di supermercato diventa un buldozer che abbatte una casa palestinese, un carro armato che invade il Libano, una mina che mutila un bambino afgano o una “arma leggera” in una delle tante guerre africane. Solo alcuni esempi. Tre semplici e banali esempi che dimostrano che la guerra è anche qui, che la guerra è globale e permanente. Che in un mondo globalizzato, nessuno - neanche noi, abitanti benestanti di una piccola cittadina alla provincia dell’Impero - può dirsi fuori. Non avrete mica creduto alla favola dei soldati rapiti? Il 29 gennaio del 2004 Israele rilasciò 400 prigionieri arabi in cambio di un uomo d’affari e dei corpi di tre soldati. Avrebbe potuto farlo anche questa volta, ma non lo ha fatto. Le vere ragioni di quest’aggressione che Israele – con il consenso USA - sta portando al Libano, ha poco a che fare con gli Hezbollah, con l’annunciato assassinio mirato del suo leader o con una più generale “guerra al terrorismo”. Le ragioni di questa guerra si fondano sul potere che i militari hanno sulle questioni politiche israeliane, sul fare il lavoro sporco per gli USA in modo da creare il “casus belli” per poter attaccare l’Iran o la Siria e sul candidare Israele come prossimo membro della NATO. Le ragioni di questa guerra si trovano tra gl’interessi economico-politici che USA, Gran Bretagna, Turchia ed Israele hanno nel forgiare a ferro e fuoco “un nuovo medioriente” per poter controllare le risorse petrolifere, fondamentali quando si ha un’economia drasticamente in crisi, com’è quella americana. Ragioni che parlano di oleodotti dove trasportare petrolio, ma anche acqua potabile, un bene che ad Israele scarseggia, ma che potrebbe essere risolto conquistando il fiume Litani, che si trova proprio nei famosi 30km del Libano in cui si vorrebbero le forze internazionali, sotto l’ombrello della NATO. Non abbiamo la verità in mano, offriamo solo un punto di vista diverso. Un punto di vista a cui, per quanto ci riguarda, segue una pratica d’opposizione alla guerra che non si può ridurre al pacifismo da testimonianza, e che magari, poi, vota i finanziamenti alla guerra in Parlamento. Una pratica ragionata che rivendica il proprio diritto di resistenza alla produzione di paura, di controllo, d’ignoranza e di morte che la guerra da sempre genera. Un diritto di resistenza da organizzare e praticare qui e ora, perché anche la guerra è qui ed ora. ( da CSA ½ CANAJA … in Plage Sauvage)
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