Referendum costituzionale, un No per salvare la Costituzione
Il 25 e il 26 giugno si vota per il referendum sulla riforma costituzionale voluta e approvata in Parlamento, nel novembre scorso, dal centrodestra. Si tratta di un referendum confermativo. Voterà SI chi è a favore della riforma, voterà No chi è contrario. Questa volta non ci saranno appelli a disertare le urne e inviti ad andare al mare perché il referendum confermativo, a differenza di quello abrogativo, non prevede la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto al voto per essere valido. Maggioranza e opposizione hanno fatto le loro dichiarazioni di voto. L’Unione compatta sostiene il NO, la CdL ha lanciato una campagna a favore del SI. Ma come scrive Giovanni Sartori le costituzioni non sono né di destra, né di sinistra. O sono ben fatte o sono malfatte. La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato. Essa sancisce i principali diritti e doveri dei cittadini e disciplina le funzioni degli organi più importanti della repubblica. La nostra carta costituzionale è in vigore dal 1948 e costituisce la sintesi del confronto di tre grandi correnti culturali e politiche: la corrente liberale, la socialista e la cattolica. Da quando è stata approvata quasi all’unanimità dall’Assemblea Costituente, il Parlamento ha apportato delle modifiche ma i precedenti interventi riguardavano solo alcune disposizioni costituzionali. Questa riforma, invece, cancella e riscrive ben 53 articoli della Costituzione. Da tempo si parla impropriamente di questo referendum come il referendum sulla devolution, cioè sul trasferimento di poteri dallo Stato centrale alle Regioni. La riforma costituzionale, però, non coincide con la devoluzione sebbene essa abbia un’importanza considerevole nel quadro di una ristrutturazione dei poteri territoriali. La portata della riforma è molto più ampia. Essa definisce una nuova forma di governo, cambia la struttura del Parlamento, modifica la forma di Stato, riscrive i rapporti tra Stato e Regioni, rivede i poteri e le funzioni degli organi di garanzia. Se la riforma sarà approvata dai cittadini, l’Italia non sarà più una Repubblica parlamentare in quanto verrà meno il vincolo della fiducia tra Parlamento e Governo. La vita politica ruoterà intorno alla figura del Primo Ministro, scelto direttamente dagli elettori e inamovibile fino alla fine del suo mandato. Si delinea una forma di governo unica al mondo, basata sulla dittatura elettiva di un uomo solo con un’unica garanzia: alla fine del mandato i cittadini torneranno a votare. Il Presidente della Repubblica diventerà una figura di mera rappresentanza, non sarà più il rappresentante dell’unità nazionale ma sarà il garante dell’unità federale. Perderà il potere di scioglimento delle Camere, il potere di conferire l’incarico di Governo e il potere di autorizzare la presentazione dei disegni di legge di iniziativa governativa. Le Assemblee resteranno due ma non ci sarà più bicameralismo perfetto (due camere con uguali poteri). Il Senato Federale e la nuova Camera avranno compiti e poteri diversi. La formazione delle leggi seguirà un complicato e confuso meccanismo. Infine, a proposito di devolution, verranno attribuite alle Regioni delicate materie come la sanità e l’istruzione, permettendo che per questi diritti fondamentali le prestazioni garantite siano diverse da regione a regione, in violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Abbiamo veramente bisogno di questa riforma? La risposta è No perché la Costituzione può essere cambiata per meglio garantire i diritti e le libertà di ogni persona, per potenziare gli strumenti di partecipazione, per promuovere lo sviluppo e la crescita economica, sociale e civile ma non può essere riscritta per demolirne i principi e i valori.
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