Un artista emergente, Gabriele d’Agaro: "Fermo emozioni che nella vita quotidiana ci sfuggono"
di Mario Mauro
Nella saletta fumatori di un mondano locale notturno, in compagnia di un bicchiere di vino rosso, ho avuto l’occasione di fare la conoscenza di Gabriele d’Agaro, un artista emergente che vive e lavora a Padova. Dopo essersi diplomato all’accademia di belle arti di Venezia, ha vissuto per 4 anni a New York, luogo che ancora oggi esercita su di lui una forte spinta creativa. Lele è un attentissimo osservatore della società e la conversazione tra lui ed il mio gruppo di amici si fa subito interessante, spaziando tra gli argomenti più disparati: “quando ho visto per televisione un boeing schiantarsi contro le torri gemelle, la prima cosa che ho pensato è che cazzo hanno fatto questi americani!”. Il suo pensiero è tagliente, diretto; le sue osservazioni mettono in discussione sia l’interlocutore sia se stesso. Ascolta con estremo interesse le parole di ognuno; critica, con aspro cinismo, i fatti della quotidianità. Profondo esegeta del genere umano, nutre una grande fiducia nell’autonomia intellettuale di ciascun individuo, augurandosi un risveglio dal generale sonno dogmatico. La discussione si fa sempre più interessante ma il locale sta chiudendo, la bottiglia di vino è finita ed il pacchetto di sigarette è vuoto: è ora che ognuno torni a casa propria. A distanza di qualche giorno, lo contatto e gli chiedo se è interessato a fare un intervista.
Direi di iniziare dalla tua esperienza di vita per poi passare alla tua filosofia artistica. So che hai vissuto per lungo tempo a New York, quanto ha influito questa esperienza nella tua produzione artistica? A NYC ho prodotto poco di “artistico”, ma ho vissuto un’esperienza straordinaria sotto molti aspetti. Mi sono confrontato con una realtà molto diversa da quella da cui provenivo. Ciò che ho assorbito esistenzialmente ho potuto poi tradurlo in maniera naturale e istintiva alla fine di quel percorso, al mio ritorno in Italia. Tuttora, a distanza di qualche anno, quella spinta credo non sia ancora esaurita.
So che esponi in una galleria di Milano. Considerate le tue origini, come mai hai preferito legarti ad una galleria milanese piuttosto che ad una di Padova? Che differenze ci sono tra i due ambienti? Le mie ultime esposizioni a Milano sono frutto più di coincidenze che di scelte razionali o di mercato. Milano, essendo una città più grande rispetto a Padova dove vivo, ti dà sicuramente maggiore visibilità e maggiori sono le possibilità di confronto.
Come descriveresti il movimento evolutivo storico della tua pittura? La pittura resta uno dei tanti modi di esprimersi, non l’unico. In precedenza mi sono confrontato con la fotografia, la performance, la scultura e la scrittura. Non noto sostanziali differenze in quest’ottica tra le varie discipline, quando si ha la voglia o la necessità di esprimere le proprie emozioni: ora mi dedico di più alla pittura. Domani non saprei, non posso dirlo.
Guardando le tue opere, hai una particolare passione per i primi piani. Che motivazione si cela dietro? Cosa ti spinge a scegliere un soggetto piuttosto di un altro? Ora mi interessa molto la ritrattistica. Mi pare, nel dipingere volti, di ricevere forti emozioni, di fermare delle espressioni che spesso ci sfuggono nella vita di tutti i giorni.
Dei quadri che ho avuto modo di vedere, mi piace molto il modo in cui riesci a isolare e rappresentare uno determinato stato d’animo vissuto in un preciso momento, quasi fosse una foto istantanea della sua coscienza. Il quadro rappresenta allo stesso tempo, una persona malinconica ma anche soddisfatta dell’istante che sta vivendo. Secondo te, c’è una relazione tra questi due concetti, malinconia e soddisfazione per ciò che si è? Alle volte ricaviamo struggente soddisfazione nella malinconia. La malinconia ci proietta spesso in quel luogo interiore, privo delle solite “coordinate” con le quali siamo o ci hanno abituati a convivere, un luogo dove, in certe occasioni, ci si vede meglio. C’è una forte dose di amor proprio e narcisismo in tutto questo!
Come descriveresti il processo creativo, dal momento in cui inizi a dipingere una tela al momento in cui l’hai terminata? L’inizio rappresenta il passo più delicato, una sorta di sverginamento che ogni volta si ripete. Poi, tutto scorre quasi in un automatismo di gesti e di pensieri. In genere non seguo un percorso prestabilito, un “programma”, quindi non so mai dove vado a finire con il lavoro. Mi fermo quando provo, guardando ciò che ho fatto, un’onesta emozione, che può scaturire da un segno, da una pennellata indovinata, da un’espressione che mi incanta o da una posa accattivante. Ovvio che non sempre ciò accade!
E’ un dato di fatto che negli ultimi anni non si parli più di correnti artistiche o, quanto meno, non ne emerge una corrente preponderante. Secondo te, è un sintomo di crisi dello stato attuale dell’arte? Quando una società come quella odierna tende fortemente all'omologazione di tutto e di tutti, al solo scopo di rendere la vita e le vite una merce di profitto, è evidente che se un individuo vuole rimanere tale, ossia individuo, ha spesso l'esigenza e l'obbligo di estraniarsi da tale contesto. A maggior ragione, se l'esigenza è quella di raccontare cose delle vita, di esprimersi. L'invidiabile e forse più neutrale punto di vista è quello che si pone all'esterno del contesto, non certo all'interno del "marasma". D’altronde si può entrare ed uscire da questo marasma a nostro piacimento e questa penso sia una bella fortuna! Inoltre, un certo grado di isolamento credo sia fondamentale per fornirci un "luogo privato", che ci permetta di mettere a fuoco veramente ciò che sta dentro e fuori di noi.
In relazione alla domanda precedente, che valore attribuisci alla comunicazione ed allo scambio di idee tra i differenti artisti? E’ ancora fondamentale per la crescita intellettuale o l’artista odierno preferisce creare da solo? Il confronto è sempre importante, perché è da questo che si possono ricevere stimoli nuovi. Nella precedente risposta non parlo di isolamento nel senso di chiusura e del non-confronto con l'esterno, ma di un recupero della privacy perduta.
Ci puoi parlare del progetto Housewarming? Il progetto Housewarming è frutto anch'esso dell'esperienza americana. Lì è prassi diffusa aprire la propria casa ad amici, non esclusivamente per mostrare il proprio lavoro, nel caso specifico si tratti di un artista ovviamente. E' certamente un modo diverso e meno formale, rispetto alla galleria per esempio, per fruire di arte e conoscere veramente l'autore delle opere, nel suo contesto di tutti i giorni. Io ne sono rimasto piacevolmente colpito al punto che ho voluto, al ritorno dagli USA, proporlo anche a casa mia, nella mia città.
Ormai l’intervista è giunta al termine e ti ringrazio per la disponibilità. C’è qualcosa che vorresti dire a chi la sta leggendo? Mi auguro solo di aver risposto con chiarezza alle tue domande anche se non sempre è facile perché, quando si tenta di far chiarezza su un punto, spesso capita che se ne oscurino altri!
Per ulteriori informazioni su Gabriele d’Agaro, è possibile vedere le sue opere e contattarlo attraverso il myspace, http://www.myspace.com/gabrieledagaro
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