Skruigners “Niente dietro niente davanti”
Etichetta: Tube Records Brani: Non mi volto mai / Io ci odio / Tra le fiamme / Chi sei stata / Alba / Generazione senza / Soltanto tombe / In bilico / Triste vederti felice / Come foglie / Quanti segreti / Abbastanza / Siete la mia gabbia / L’ultimo sorriso / Ltsvf / Cane / Oggi la rivolta indossa una divisa / Il peso del cielo / Suono per soldi Castelli di rabbia, te li senti addosso. Costruiscono sulla cenere. Ancora una volta i figli dell’odore di merda tornano, ed è un calcio alle palle che ti fa stringere i denti e dichiarare guerra a questo niente. Filosofi del niente che non sono altro. Tornano gli Skruigners, dopo l’ultimo “Duemilatre”. Cinque anni, e una manciata d’esperienza all’attivo che li porta dritti dritti nel tempio povero e onesto del nostro hardcore punk. Una delle band più longeve, una delle più attive e seguite. Forse una delle più discusse anche, forse. Ma non per me, che guardo attento un percorso che con etichette o senza li porta sempre dritti verso il bordo di un baratro, come solo loro e pochi altri: rabbia, cinismo, desolazione. Malumore rabbioso e voglia di uscire da queste mura opprimenti. Ma per andare dove? Non si sa, l’importante è andare. Così apro la confezione di “Niente dietro niente davanti”. Ripulita, ben colorata. La grafica è perfetta, tutto lucido. Mi balena per la mente che i dodici anni di attività tra le iene del mercato sempre in agguato abbiano giocato alla testa pure a loro (che si sa, i compromessi tentano tutti, pure l’Eva più rivoltosa). Ma ogni dubbio si annulla se quando parte il play senti che la storia non cambia. Non è cambiata. C’è un discorso di immagine che si realizza, ed uno sonoro che li aggiusta verso puliture meno grezze, questo si. Alcuni accorgimenti molto più ‘tecnici’. Ma non basta questo a spogliarli del loro stile, ancora vivo e capace di dire e dare emozioni. Perché ciò che arriva è solo puro suono massiccio, senza compromessi. Diciannove brani spaccaossa come sempre, una filata di rumorismi e catarro che spezza il lungo silenzio a cui gli amanti del genere non si sarebbero abituati. Volevamo ascoltarli.
Così i vecchi testi che hanno fatto bandiera, trovano ora i figli legittimi che onorano il padre: denuncia sociale, denuncia all’uomo, alla generazione senza nome, alle maschere. Denuncia alla merda. Istigazione in nome dell’inquietudine, ma senza retorica né slogan di comodo. Sentigli il sangue in gola ad Ivan: ne impari a trarre linfa da cui prendere spunti per iniziare a scrivere il tuo personale testo descrittivo sulla realtà fantastica intorno.
“Non mi volto mai”. “Siete la mia gabbia”. “Oggi la rivolta indossa una divisa”. Brani dallo stop&go continuo, melodie che bastonano, che respirano, cambiano forma per poi riprendere a correre, inciampare, cadere, rialzarsi (ma ancora è un in piedi sul dorso di un grattacielo deserto, col caos intorno che si taglia col coltello). Togliti le scarpe, e balla a piedi scalzi sul vetro. Inizia a convivere col fastidio e ti ci abitui tanto da farlo fratello.
Non sono lontani i vecchi successi, se è questo che temete. Non sono parenti rinnegati. No. “Suono per i soldi” è l’ultima traccia, il manifesto postumo per chi diffida e non si fida: “Suono per i soldi / Solo per i soldi, si / E sono punk e pop / E nazi e comunista / E falso più che Giuda / E cago testi falsi come me // Ma si, tutto quello che volete / In fondo cosa cambia? / Io sono chi sono / E non ho mai mentito / E chi vuole capire ha già capito…”.
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