di Sara Di Giuseppe
Laudate et benedicete San Francesc[hini] che folgorò Saulo-Silvio di Arcore sulla via dell´Aquila.
E gli regalò la Resistenza. Senza il suo caloroso "invito", lui neanche ci pensava a farla cosa propria, avendola per 14 anni ignorata.
Così eccolo là, il Discorso della Montagna del 25 Aprile terremotato: alta sartoria, mani esperte a cucire, stirato in paraculese. Stoffa scadente, però. In 1902 parole la Festa della Liberazione (citata 1 volta) e la Guerra di Liberazione (citata 1 volta) diventano celebrazione di generica- uniformatrice - livellatrice "LIBERTA´" (citata 23 volte).
La Resistenza diviene "uno (sic) dei valori fondanti della nostra nazione" (iinsieme col Risorgimento, beninteso, che c´accontenta un po´tutti).
E siccome "una nazione libera non ha bisogno di miti", finiamola con la retorica "resistente", e ricordiamo invece "anche le pagine oscure di guerra civile, anche quelle nelle quali chi combatteva dalla parte giusta ha commesso degli errori, si è assunto delle colpe".
Insomma vediamo di dare un colpo al cerchio, uno alla botte e uno alla Chiesa ["anche la Chiesa, voglio ricordarlo, fece la sua parte con vero coraggio" ] e piantiamola.
Il tricomiracolato seppellisce così Resistenza (nominata 2 volte ) e Fascismo (mai nominato), mentre l´antifascismo (nominato 1 volta) è legato stretto - a scanso di equivoci - ad antitotalitarismo, per sottolineare che la nostra [ ingombrante e sovietica? ] Costituzione "fu frutto di compromesso, e il valore prevalente fu per tutti l´antifascismo ma non l´antitotalitarismo". Amen.
E se festa della "Libertà" tout-court dev´essere, si mettano nel calderone "tutti i caduti, anche quelli che hanno combattuto dalla parte sbagliata". E per un migliore amalgama si aggiungano "i soldati italiani impegnati nelle missioni di pace all´estero" e si farnetichi di "una continuità ideale fra loro [i soldati - pagati - in missioni cosiddette di pace all´estero, n.d.a.] e tutti gli eroi che sacrificarono la loro vita più di 60 anni fa per ridarci la libertà..."
Dimentica, Saulo-Silvio in crescendo rossiniano, che Festa della Liberazione è celebrazione - gioiosa e vittoriosa - di quella Liberazione e di quella Resistenza. Non di altro. Ignora che in democrazia nulla vieta a "miti" altri e diversi di celebrarsi in contesti e momenti altri e diversi.
Non sa che troppi invitati e troppo eterogenei fanno riuscir male le feste.
Ma il folgorato sulla via dell´Aquila è convinto "che siano maturi i tempi perché la festa della Liberazione possa diventare la festa della Libertà" perdendo "il carattere di contrapposizione che la cultura rivoluzionaria (sic) le ha dato".
Sulla "conversione" del piccolo padre, pennivendoli e tamburini di corte, mezzibusti e stampa (quasi) tutta levarono - anche stavolta - alto peana inneggiando alla "conciliazione".
Non resta indietro neanche il sinistro Ignazio. Non russa, lui: il prossim´anno si depongano - dice - corone ai caduti, sia repubblichini che partigiani.
Spettabile pubblico, Resistenza e Liberazione sono liquidate. Alé.
28.04.´09 SDG