di Lucio Garofalo
24/11/2007 - Sono ormai trascorsi 27 lunghi anni dal terribile sisma che il 23 novembre 1980 rase al suolo alcuni centri dell’Alta Irpinia e della Basilicata, cancellando intere famiglie, decimando e stremando le popolazioni locali. Si trattò di un immane cataclisma, le cui rovinose conseguenze non furono causate solo da elementi naturali, bensì pure da fattori di tipo storico-politico e antropico-culturale. Ricordo che nei mesi immediatamente successivi alla catastrofe, non furono pochi gli osservatori e gli analisti politici che si spinsero a formulare l’agghiacciante ipotesi di una vera e propria “strage di Stato”. La furia tellurica investì in modo traumatico e devastante le comunità di Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni e Conza della Campania, i centri più gravemente danneggiati dal sisma. Ebbene, da quel funesto giorno sembra separarci un’eternità! In tutti questi anni, le tematiche collegate al terremoto del 1980 e alla ricostruzione post-sismica sono state oggetto di validi e complessi studi, inchieste e approfondimenti, condotti e pubblicati anche su blog e siti Internet (naturalmente sono state scritte anche scempiaggini). Per cui sembrerebbe che non ci sia molto da aggiungere. Invece, credo che valga la pena di spendere qualche frase in occasione delle consuete e rituali commemorazioni, celebrate in occasione del 27° anniversario del triste evento. Per gli abitanti dell’Alta Irpinia, in modo particolare per i cittadini di Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi e Conza della Campania (i tre Comuni più disastrati dell’area del cratere) il terremoto del 23 novembre 1980 ha costituito indubbiamente un avvenimento luttuoso, per cui quel giorno non rappresenta una data qualsiasi del calendario, ma segna un vero spartiacque storico-cronologico e antropologico-culturale. Equivalente all’11 settembre 2001 per gli Americani, oppure all’anno zero, ossia all’avvento di Gesù, per i cristiani.
L’espressione “data-spartiacque” indica anzitutto che, a partire da quel momento storico, la nostra vita quotidiana è radicalmente mutata sotto ogni profilo. La realtà delle nostre zone si è trasformata visceralmente sul versante economico e sociale, persino a livello psicologico ed esistenziale, facendoci letteralmente regredire sul piano antropologico e culturale. Il terremoto ha straziato le nostre vite, turbato le nostre emozioni e percezioni, segnando profondamente le nostre menti, i nostri stati d’animo, la sfera interiore degli affetti e dei sentimenti più intimi, perfino i nostri istinti più elementari. Il cambiamento, inteso come imbarbarimento, si è insinuato dentro di noi, negli atteggiamenti e nelle relazioni più comuni, penetrando fino in fondo alle viscere della terra. Una terra sempre più infetta e corrotta dall’inquinamento chimico-industriale, avvelenata dai rifiuti e dalle scorie d’ogni genere. Così pure l’aria e l’acqua, che un tempo erano assolutamente pure e incontaminate.
Ciò che invece sembra mantenersi perennemente intatto, immutato e quasi indisturbato, è l’assetto del potere politico-clientelare che continua a ricattare i soggetti più deboli e indifesi, a condizionare la libertà di scelta delle coscienze individuali, influenzando gli orientamenti elettorali dei singoli, vale a dire di vasti strati della popolazione. Pertanto, al fine di non dimenticare l'immane tragedia collettiva che 27 anni or sono fece precipitare nel lutto più doloroso ed insanabile le comunità dell'Alta Irpinia e della Basilicata, vi propongo una suggestiva testimonianza del noto scrittore irpino Franco Arminio. Buona lettura.
“Dalle mie parti siamo tutti esperti di terremoto, almeno quelli che quando venne la scossa erano adulti: ventitré novembre 1980, le sette e mezza della sera, la terra fa tremare tutto l'Appennino meridionale, l'epicentro è tra le province di Avellino, Salerno e Potenza, una decina di paesi completamente distrutti (Conza, Laviano, San Mango, Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni, solo per ricordarne alcuni) altre centinaia danneggiati più o meno gravemente, tremila persone morte, schiacciate dal peso delle case rotte, adesso penso al fatto che non tutte sono morte subito, c'è chi sarà rimasto in agonia per qualche ora, chi avrà sentito i soccorritori che stavano per raggiungerlo e non ce l'hanno fatta a prendergli le mani, il terremoto dal punto di vista dei morti è una cosa fatta di travi sulla pancia, di buio, di gambe rotte, è un trovarsi nella spina della vita all'improvviso, sei con la bocca davanti alla maniglia della tua stanza, guardi un televisore spento, stavi vedendo la partita, tua moglie era in cucina che preparava la cena, giocavano la Iuventus e l'Inter, ma non sai com'è andata a finire, sai che sta finendo la tua vita e ti fa rabbia che continua quella degli altri, ombre che staranno lì a spartirsi questo curioso bottino che è il tempo che passa, tu sei stato appena riportato tra loro, non puoi sapere che stanno polemizzando sui soccorsi che non sono arrivati, è arrivato il presidente della Repubblica e ha fatto una scenata alla classe politica, quella che ignorava che il cemento della tua casa era disarmato, quella che non si è preoccupata che la casa in cui è morta tua madre era fatiscente nonostante tu vivessi nel mondo che si dice progredito, il mondo che anche nel tuo paese aveva voltato le spalle alla civiltà contadina per sistemarsi nella modernità incivile, è in nome di questa modernità che cominciarono a ricostruire la tua casa e quella degli altri, pensarono perfino che non bastavano le case, ci volevano anche le industrie, ora molte di quelle case sono chiuse come la tua cassa da morto e lo stesso è avvenuto per quelle industrie, non sai che questo fatto a un certo punto è stato utilizzato per combattere quelli che comandavano in queste zone, non sai che le persone del nord Italia che vennero qui ad aiutare furono assai deluse dal sapere di tanti sprechi (si parla di una spesa di sessantamila miliardi di lire, ma i conteggi cambiano a seconda di chi li fa) e diedero credito a un partito che nasceva per dire basta con questa storia del sud, il problema siamo noi, i soldi che facciamo col nostro lavoro non ce li deve togliere nessuno, e infatti nessuno glieli ha tolti, come nessun scandalo a noi ci ha tolto quelli che comandavano e che comandano ancora e che adesso fanno coi fondi europei quello che fecero col terremoto, pure questa è una faccenda scandalosa, ma per ora non fa notizia, manca il detonatore della tragedia, intanto pure l'ingegnere che ha costruito la tua casa caduta non è andato in galera e neppure chi l'ha ricostruita in maniera piuttosto orrenda, il terremoto per te è finito con la fine della scossa, ma per gli altri è continuato molti anni ed è stato una corsa a fare soldi, in questa corsa non c'era tempo per pensare alla bellezza dei paesi, il problema era solo allargali, allungarli e l'opera è stata compiuta con genio e vi hanno partecipato un poco tutti, dal parlamentare che ha fatto la legge per cui si potevano aggiustare anche case che non si erano rotte, all'architetto che ha disegnato con la matita della venalità, al cittadino che si è messo in fila ad attendere quello che gli spettava e se possibile anche qualcosa di più, ora tutti si lamentano, tutti a dire che si stava meglio prima del terremoto, tutti a rimpiangere un tempo in cui si era più uniti e più buoni, a me pare di averla vista questa bontà e questa unione solo fino a quando è durata la paura, fino a quando la gente ha dormito nelle macchine, fino a quando abbiamo cercato di salvarti, poi è andata un po' come ti ho detto.” (Franco Arminio)
UN POPOLO SENZA MEMORIA E’ UN POPOLO SENZA SPERANZA E SENZA FUTURO.