Novità dal mondo indie: Animal Collective, Yuppie Flu, Aidan Moffat
Animal Collective “Merriweather Post Pavilion”
Anno: 2009 Etichetta: Domino Nel territorio tra acid folk e psichedelia, gli Animal Collective sono attualmente il gruppo più avanti in circolazione. Con “Merriweather Post Pavilion” aggiungono un tassello decisivo alla loro già splendida e copiosa discografia. Che siano diafani, come nell’opener In The Flowers, o divertenti, in filastrocche come Lion In A Coma, Panda Bear (questo il curioso pseudonimo di Noah Lennox, voce, chitarra, samples e percussioni) e company hanno la capacità di assemblare i loro brani come fossero costruzioni lego, dando sempre l’impressione di avere in tasca il mattoncino giusto del colore giusto per sollevare da terra la loro costruzione e lanciarla nello spazio. La stratificazione di suoni raggiunge un senso compiuto che sfiora il pop in Summertime Clothes e un tono di epicità nell’incredibile Daily Routine, con quel verso di perfetta indolenza («just a sec more in my bed») che si scolpisce nella mente dell’ascoltatore come un carico di zuccheri. “Merriweather Post Pavilion” è un disco di farfalle beatlesiane immerse in un mare di loop e diavolerie tecnologiche. Basta il primo ascolto di My Girls, con la sua melodia catchy e il suo ritmo scalpitante a rendere l’idea. Capolavoro iperglicemico.
Yuppie Flu “Sensitive Ep”
Anno: 2009 Etichetta: Homesleep Che gli Yuppie Flu siano ormai un punto di riferimento a livello nazionale per chiunque ami il pop-rock di matrice Grandaddy non sta certo a dimostrarlo lo spot di una nota casa automobilistica con una loro canzone per colonna sonora. Semmai un’ulteriore conferma del valore della band anconetana viene dal “Sensitive Ep”, che segue di un anno la prova sulla lunga distanza di “Fragile Forest”. “Sensitive Ep” mostra soprattutto il lato melodico degli Yuppie Flu, con due composizioni che accarezzano l’udito dell’ascoltatore e lo cullano in un senso di pace a armonia. La prima è la quasi-title-track Sensitive Kingdom, che inizia morbida e poi, in un crescendo ritmico, arriva a un finale decisamente rock. La seconda è She’s Lost It All, sostenuta dall’inconfondibile voce nasale di Matteo Agostinelli e da un arpeggio di chitarra ripetitivo e ipnotico che la immerge in una particolare atmosfera che richiama alla mente sì i Grandaddy ma anche Sonic Youth, Beatles, Shins. Un buon aperitivo in attesa del nuovo album.
Aidan Moffat “How to Get to Haeven From Scotland”
Anno: 2009 Etichetta: Chemikal Underground Metà sboccata e sbronza dei leggendari Arab Strap, Aidan Moffat torna con un disco solista di pregio e commozione, con almeno tre o quattro brani che, in soggetti particolarmente sensibili, possono togliere il respiro. Il tutto si apre con la sola voce di Aidan che intona una nenia (Lover’s Song) che funge da dichiarazione d’intenti. Il primo pezzo da ricordare è Atheist’s Lament, una ballata stonata il giusto, con un giro di chitarra semplice il giusto, semplicemente perfetta così. Il suono di una banda scalcagnata e intossicata di etanolo accompagna Oh Men! e That’s Just Love, canzoni fatte di urla e fischi prima che di fisarmoniche e tamburi. Proprio la fisarmonica è lo strumento centrale dell’album, specie da Now I Know I’m Right in poi e, ad un certo punto, si sente la mancanza delle soluzioni strumentali di Malcolm Middleton, ma si sa, non di sola band vive la carriera di un artista, e questo Aidan Moffat solista è così sorprendentemente buono che fa venir voglia solo di ascoltarlo e riascoltarlo, non certo di lamentarsi. Poco prima della fine arriva Living With You Now, niente di più niente di meno che un racconto del cuscino capace di far tremare d’emozione e di dimostrare che “How to Get to Haeven From Scotland” sia una ciambella uscita con il buco.
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