Marco Travaglio “La scomparsa dei fatti”
Se negli altri paesi il potere tenta di nascondere le proprie vergogne, ma di solito non ci riesce, in Italia ci riesce benissimo; l’"impasto" politica-informazione sta alla base di questa tragica eccezionalità. Se questo vi basta per porvi qualche domanda o per ragionare sullo stato della libertà d’informazione, allora siete i lettori giusti per "La scomparsa dei fatti", ultimo o forse primo vero e proprio saggio di Marco Travaglio, giornalista arcinoto ai più. Sì perchè da quella storica intervista al "Satyricon" di Daniele Luttazzi nel 2001, Travaglio è diventato per acclamazione neoicona di una informazione corretta, ironica e a lama tagliente bipartisan. Spietato nei confronti dell’illegalità e delle vergogne del potere, Travaglio per noi è l’ospite ideale in par condicio in quanto trasversalmente detestato, dai piccoli politici di casa nostra e anche da molti pseudocolleghi di penna. In questi ultimi sei anni ci aveva abituato a costanti e minuziose ricostruzioni delle vicende giudiziarie e non della nostra classe politica; con la sua ultima fatica editoriale ci consegna un pamphlet tragicomico sulle tecniche più diffuse per nascondere fatti scomodi, soprattutto in televisione. Il libro dimostra come esista ampia letteratura a riguardo, facendoci riflettere su come le notizie possano piegarsi alle convenienze grazie al "nascondere parlando d’altro", al "far finta di parlarne" e al "trasformare i fatti in opinioni". Travaglio ci riporta alla memoria decine di notizie troppo in fretta dimenticate (dalla bocciatura di Buttiglione in Europa alla mitica bufala Telekom Serbia, antipasto del caso Scaramella), mettendoci in guardia contro i tranelli a cui purtroppo si presta un’informazione senza schiena dritta. Programmi televisivi che dovrebbero essere di approfondimento, si tramutano in talk show; quelli che dovrebbero essere gli storici non leggono nemmeno le sentenze passate in giudicato, che dovrebbero contribuire all’accertamento dei fatti; il giornalismo, che ha smesso da tempo di essere il cane da guardia del potere, è mutato in innocuo pet. Forse un libro così dovrebbe trovare posto all’interno dei corsi universitari, lasciando accesa la speranza per una nuova generazione giornalistica: per distogliere da tanti cattivi esempi alla Vespa abbiamo bisogno di un degno allievo di Montanelli.
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