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FEMMINISMO E FEMMINILIZZAZIONE NELLA SCUOLA ITALIANA

di Lucio Garofalo 
 
Probabilmente, occuparsi oggi di "femminismo" potrebbe risultare addirittura demodé. Nel senso che, per quanto si possa sollevare un problema reale, oggettivo, l’approccio rischierebbe di essere già superato e “scorretto” in partenza.
Non c’è dubbio che numerosi segnali anche recenti indicano in modo inequivocabile come, malgrado la presenza femminile nei diversi settori lavorativi della nostra società sia in netto aumento, quando si tratta di ruoli decisionali, l’uguaglianza tra i sessi sembra essere un traguardo ancora distante. E’ assolutamente innegabile come in tutti gli ambiti lavorativi e sociali i maschi detengano e proteggano a denti stretti le posizioni di maggior prestigio, privilegio e potere. La discriminazione diventa un dato ancora più evidente quando ci si addentra nel campo della politica, ma soprattutto ai vertici del potere politico. Infatti, tranne rare eccezioni, i vari “boss” dei partiti politici più diffusi ed egemoni in Italia sono quasi tutti elementi maschili(sti). Ciò è purtroppo vero anche per gli ambienti della cosiddetta “sinistra radicale”, compresa Rifondazione (ex)comunista, i cui quadri dirigenti sono stabilmente in mano agli uomini.
Nel contempo, laddove esiste una netta prevalenza femminile, ad esempio nel settore della scuola, il rapporto di potere è inevitabilmente rovesciato: infatti, sono in crescente aumento i dirigenti scolastici donna. Tuttavia, a riguardo mi sono formato alcune convinzioni che, all’apparenza, potrebbero risultare invise alle più accese "femministe". Mi riferisco alla realtà della scuola italiana, soprattutto a livello dei primi ordini di scolarità: scuola dell’infanzia, scuola primaria e secondaria di I grado. In tale contesto la femminilizzazione è un dato dominante, quasi assoluto. Si pensi alle scuole materne, laddove gli elementi maschili sono completamente assenti, oppure alle scuole elementari, dove i maestri costituiscono una nettissima minoranza. Ebbene, io sono convinto che uno tra i principali problemi della scuola italiana (non l’unico, è ovvio) sia rappresentato proprio dall’eccessiva femminilizzazione.
Mi spiego meglio. Altrove, ad esempio in Francia o in altri stati nord-europei (in modo particolare nei paesi scandinavi) la presenza maschile è senza dubbio più consistente e, in alcuni casi (si pensi ad esempio alla Norvegia), addirittura massiccia. La ragione si intuisce e si spiega abbastanza facilmente. In tali paesi gli emolumenti assegnati agli insegnanti sono indubbiamente più convenienti ed appetibili, per cui gli uomini aspirano in maggior numero ai posti di insegnamento, a differenza del nostro paese, dove gli stipendi retribuiti alla classe magistrale sono a dir poco indecenti e miserabili. Ebbene, lo scarso valore (anche e soprattutto economico) riconosciuto alla professione docente in Italia, deriva (almeno in parte) proprio dalla eccessiva femminilizzazione presente nella scuola.
Infatti, le donne che insegnano sono nella quasi totalità madri e donne sposate, ossia impegnate ad attendere alle faccende domestiche e ad accudire la prole, relegate dunque in ruoli marginali e secondari rispetto ai coniugi, che magari svolgono funzioni più “importanti” e più remunerative sul piano economico-professionale. Pertanto, le insegnanti che sono anche mogli e madri non hanno molto tempo, né voglia per dedicarsi ad attività sindacali e sociali, e tanto meno per occuparsi di politica. Per le medesime ragioni, quando si tratta di lottare, di scioperare e rivendicare i propri sacrosanti diritti sindacali, per ottenere miglioramenti nella propria condizione economico-lavorativa, le insegnanti (in gran parte mogli e madri) tendono a sottrarsi e a disimpegnarsi in modo determinante, per cui il potere contrattuale e sindacale della categoria si è ridotto progressivamente. Non a caso le adesioni agli scioperi nel comparto scuola sono sempre molto più basse rispetto ad altri settori lavorativi, laddove la presenza maschile è nettamente più elevata. Si pensi ad esempio alle industrie metalmeccaniche o ad altri ambienti di lavoro.
Naturalmente, il mio non vuol essere un atto d'accusa nei confronti della presenza femminile nella scuola e nella società italiana, anzi.
Il mio intento è esattamente quello di ridestare le coscienze assopite, o distratte da troppi impegni (familiari e di altra natura), delle donne, siano esse insegnanti, madri e mogli, siano esse single, perché la liberazione della società passa anche e soprattutto attraverso l'emancipazione crescente ed effettiva delle donne dalla condizione di marginalità e subalternità a cui ancora sembrano essere costrette in gran parte della società italiana, nei vari ambiti lavorativi e professionali, ma ancor più sul versante del potere politico-decisionale.

 Redazione 

Editoriali

 Articolo letto 2370 volte. il 17 Feb 2008 alle 20:23
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