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A prposito della "Vertenza Irpina"

di Lucio Garofalo 
 
19/10/2008 - E' indubbio che esiste una vertenza oggettiva ed innegabile in Irpinia (più esattamente in Alta Irpinia), che si traduce in alcune drammatiche emergenze sociali e materiali: anzitutto l'emergenza demografica (lo spopolamento crescente ed inarrestabile di un'intera provincia, tranne poche isolate eccezioni che procedono in controtendenza grazie esclusivamente ai flussi di lavoratori, non residenti, provenienti principalmente dall'hinterland napoletano), l'emergenza ambientale (mi riferisco soprattutto, ma non solo, alla questione delle megadiscariche sul Formicoso e in altri siti), l'emergenza sanitaria (si pensi al rischio di chiusura degli ospedali di Sant'angelo dei Lombardi e Bisaccia), l'emergenza scolastica (rischio di soppressione ed accorpamento di numerose scuole di montagna e di piccoli Comuni: si tratta di Istituti che hanno una popolazione scolastica inferiore ai 500, se non addirittura ai 300 alunni), eccetera.
Tali emergenze sono riconducibili in qualche misura ad un comune denominatore politico, vale a dire l'emergenza sociale e democratica che è ascrivibile principalmente alle responsabilità del governo (regime) in carica. In tale contesto di involuzione politica e sociale in senso autoritario ed antidemocratico, interviene una tendenza storica non più virtuosa, bensì regressiva e recessiva (si pensi alla gravissima crisi strutturale, senza precedenti, che sta investendo il sistema economico-finanziario e produttivo del capitalismo su scala planetaria), una tendenza comune soprattutto alle aree più depresse ed interne del Mezzogiorno, compresa dunque l'Irpinia.
Di fronte a simili problematiche francamente mi domando se esiste e quale sarebbe l'alternativa sociale e politica in Irpinia.
Quali sarebbero le forze reali che potrebbero farsi artefici e protagoniste del rinnovamento politico e sociale in terra irpina?
Di certo non i vari eredi del (post)demitismo, riciclati a destra, a manca, al centro, in alto e in basso. Ovvero gli epigoni locali del berlusconi-pensiero, dunque i vari esemplari del (cripto)fascismo e del leghismo di marca meridionale.
D'altronde, è quello che già accade su scala nazionale. Da tempo, ormai, è in atto nel paese una profonda e devastante contro-rivoluzione di destra, mossa da spinte molteplici ed eterogenee, ma tutte eversive, animata da diverse correnti ideologiche palesemente di destra. In altri termini, è ciò che convenzionalmente s'intende e si definisce con la nozione di "berlusconismo": un fenomeno politico-culturale di stampo demagogico-populista e sovversivo (mi riferisco, ovviamente, al "sovversivismo delle classi dirigenti" di cui parlava Antonio Gramsci), che ormai è egemone in vasti settori del Paese.
Si tratta di una cultura politica ormai dominante, non tanto e non solo perché è al governo della nazione, quanto soprattutto perché essa (l'ideologia di destra) è diffusa e radicata nella mentalità corrente, in quella che elegantemente si chiama "opinione pubblica nazionale", è insita nei giudizi, negli stereotipi e nei luoghi comuni della gente. Una cultura intrisa di venature eversive, antioperaie ed antidemocratiche, ispirata da un populismo demagogico-autoritario e da uno sfrenato liberismo in campo economico.
Un "liberismo" più di comodo e di facciata, nel senso che sono "liberisti" a corrente alternata, in base alle convenienze. Per cui, se e quando serve possono anche diventare "antiliberisti" e "protezionisti" (si pensi al Tremonti "no-global") e addirittura "statalisti" quando occorre "mungere" le ricche finanze dello Stato. Come sta accadendo nell'attuale fase di crisi sistemica del capitale finanziario globale.
Dunque, tornando al quesito originario, quali sono (se ci sono) e dove sono i soggetti reali del cambiamento politico-sociale in Irpinia?
Rammento che la storia insegna che le rivoluzioni sociali sono sempre state opera delle masse popolari, delle classi sociali subalterne, ossia delle forze produttive e materiali bene organizzate e guidate da giuste ragioni e convinzioni politiche.
Io penso che questo compito rivoluzionario spetti ancora oggi al lavoro dipendente e produttivo, ossia alla classe degli operai salariati, a quel proletariato di fabbrica (composto in misura sempre crescente da lavoratori immigrati) che ancora oggi è sfruttato e malpagato, sempre più precarizzato, totalmente emarginato dalla sfera del potere economico-politico-decisionale.
Purtroppo, in Irpinia anche i lavoratori salariati, gli operai, sono endemicamente sudditi, estremamente indifesi e ricattabili, in quanto asserviti ai notabili locali, visto che le assunzioni nelle fabbriche sono decise in base a criteri di stampo politico-clientelare.
Ragion per cui è lecito chiedersi a chi potrebbe/dovrebbe spettare il ruolo della lotta e del cambiamento in una fase storica di passaggio e di transizione, segnata da possibili sconvolgimenti radicali pre-rivoluzionari e da disordini sociali crescenti.
Intanto, consegno a voi l'ardua sentenza.

 Redazione 

Cronaca e Attualità

Sociale

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