Etichetta: Vagrant
Brani: Stuck Between Stations / Chips Ahoy! / Hot Soft Light / Same Kooks / First Night / Party Pit / You Can Make Him Like You / Massive Nights / Citrus / Chillout Tent / Southdown Girls
Se diffidare di Pitchfork è cosa buona e giusta, è pur vero che talvolta capita che un’indicazione trovi corrispondenza nella realtà. Così un incredibile rating di 9.4 assegnato al terzo album degli Hold Steady probabilmente sarà un po’ esagerato, ma ci riporta nel lettore un rock’n’roll piano oriented come si usava trenta anni fa, quando il Jersey sound aveva invaso le radio e un certo Bruce Springsteen da Freehold veniva eletto nuovo profeta, e ci permette di scoprire una piccola delizia.
Detto questo, non c’è verso di confondere gli Hold Steady con la E Street Band, sebbene il paragone stia saldamente in piedi: qui le chitarre graffiano senza remore, abbondano i distorsori, mancano i fiati e la voce di Graig Finn somiglia fin troppo a quella di Adam Duritz dei Counting Crows, tanto che la ballata First Night, col suo romanticismo da bassi fondi, sembra rimandare direttamente a Round Here, che dei Crows è forse la ballata più famosa. Poi, nell’ascolto delle undici tracce di "Boys And Girls In America", può capitare di trovare affinità con certo hard rock classico (Aerosmith, Kiss, Ac/Dc), e con un vecchio frequentatore delle college radio, Paul Westerberg.
"Boys And Girls In America" è un disco dove si beve un drink dietro l’altro, si balla, si va ai concerti, e in più di un’occasione i pezzi sono autentici canti all’adolescenza selvaggia, come Hot Soft Light, Party Pit o l’anthem Massive Nights ("tutti erano divertenti, tutti erano carini/tutti stavano andando verso il centro della città/la pista da ballo era piena/il bagno peggio/noi ci siamo baciati nella tua macchina e tu hai offerto da bere"). Molte delle canzoni sono piccoli racconti, come Chillout Tent, deliziosa e sporca storia di due ragazzi ("lei era come un uccellino/…/lui somigliava un sacco a Izzy Stradlin") che si conoscono nelle ambulanze di un festival rock, dopo aver assunto troppe droghe. Alcuni riferimenti letterari sono espliciti: nella sola, splendida Stuck Between Stations, che apre l’album, viene citato l’eroe più bello di Jack Kerouac ("ci sono notti in cui penso che Sal Paradiso aveva ragione/ragazzi e ragazze passano il tempo insieme in modo così triste") e quotato il poeta John Berryman ("mi sono circondato di dottori e pensatori/ma le grandi teste con corpi flaccidi vanno bene per amanti ignobili").
In definitiva un disco liberatorio con cui passare delle ore piacevoli, a meno che non vi dia fastidio il fatto che ogni singolo elemento sia molto ma molto americano: in tal caso, non avvicinatevi nemmeno agli Hold Steady.