Inaugurazione giovedì 19 giugno 2008 alle ore 22,30 presso il cocktail bar Ya'sta di Martinsicuro (Te) in Via delle Lancette
‘Di Stanze’ a cura di Giuseppina Pica
Di Stanze nasce ( ha origine) dall’equivoco cui sott’intende la parola stessa. D’ Istanze come, perseveranza, insistenza, riconoscimento di un diritto, appello o come, e forse soprattutto, mancare all'appello o come, e forse soprattutto tentativo “ alla disponibilità di un accordo”. Distanze, come estensione che separa luoghi, cose, persone nel senso più ampio del significante terminologico (Linguistico)
Ed infine “Di Stanze”, non luoghi intimi, privati. Composti frammenti di eredità, di essenza (assenza), di accezioni tumultuose in continua evoluzione nella ricerca d’apertura.
Di stanze è la traduzione di un passaggio d’instabilità fra immagine visiva e trasposizione momentanea dell’atto, ricollocamento di definizione e autoritratto mediatico- pretestuale che l’autrice fa di se stessa.
E’ una raccolta di espressioni temporali in cui l’artista confonde volontariamente detto e sott’inteso in cui la pregevolezza dell’ oggetto artistico è in divenire pretesto di analisi personale e collettiva. Tutto è il “ questo”, di Barbara Mancini, un questo e quesito le cui immagini sono controllate da un’ esposizione superiore a quella necessaria per un immagine “corretta”?
Non è dramma ma catarsi, il dramma è già stato contemplato, superato, rigettato e sostituito dall’ Autoritratto ( reale e performativo), che emerge come genere quando l ‘Artista ha la visione di una nuova consapevolezza del ruolo che ricopre.
L’opera di Barbara ci trasmette l’idea di un’ affermazione:” guardami, guarda ciò che è dentro di me, guardati, guarda ciò che ti comprende”.
I non Autoritratti e gli oggetti ansiosi tutti ci riportano all’analisi di cui necessita l’essere, per “sopravvivere”e alla domanda generatrice d’incertezze: chi sono?
Il viaggio attraverso lo specchio è l’ossessione che rende l’opera capace di lucere.(diffondere una vivida luce propria)
La ricerca ad impastare i colori discostandoli nell’intento di ottenere la massima luminosità, conduce al Divisionismo analitico, dove luce e ombra vivono, in un processo di dissociazione psichica e subitaneamente di associazione e dipendenza come parti di uno stesso rapporto tra rappresentazione, realtà e mondo affettivo.
Di stanze ha la capacità di riflettere la luce, di condurci nell’ombra. Ha la capacita di raccontarci chi siamo melanconicamente (dal greco melàn chole: bile nera), ed ha la capacità di proporci un cambiamento, di creare una tensione razionale fra la vivida superficie e il corrotto inteso nonostante.
L’opera dell’artista attraversa la linea di confine fra realtà e trasposizione di quest’ultima, bloccandosi nell’attimo del passaggio, in bilico. Sospeso l’attimo nella cura ed ecco distanze.
“Cambiamo dove non importa molto che si cambi- in tutto ciò che potrebbe continuare benissimo com’ è – e non cambiamo dove il cambiamento avrebbe effetto profondo – in tutto ciò che ci fa soffrire a continuare com’è…”
“La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio…La tensione razionale porta invece a rompere effettivamente, e a sostituire, a rinominare, a giudicare ex novo, a rivoluzionare”
Elio Vittoriani, Le due Tensioni (1961-1965)