Morgan @ Teatro Politeama, Prato – 05.03.09
PRATO - Nel palcoscenico solo un pianoforte ed un posacenere. “Se c’è un posacenere – dice – vuol dire che si può fumare. Non poterlo fare sarebbe una violazione del principio di non contraddizione”. E così scopro che, grazie ad Aristotele, posso fumare dentro i locali. Legge anti-fumo a parte, fin dalla prima canzone affiorano le doti tecniche ed artistiche. Non ci sono mediazioni tra lui e la musica, non si serve dei tasti, quali strumenti che azionino un martelletto per far vibrare le corde: suona direttamente le corde. Corde che risuonano nella cassa armonica e, come un pennello, dipingono immagini multiformi, spesse volte oniriche. La musica nasce dal gesto: action music, mutuando un’espressione della storia dell’arte. Ma il pubblico non riesce a coglierne il significato, più interessato a palesare il proprio odio per Pippo Baudo che alle qualità dell’artista.
Eccentrico, incontrollabile, poliedrico arriva con cinquecento spartiti sotto braccio, senza una scaletta. Suona attraverso l’istinto. Spulcia tra i fogli, alcuni li getta a terra, altri li appoggia da qualche parte, in un ordinato caos. Spazia da Un ottico a Romagna mia, da Pippo Pippo a Whisky Bar (Alabama Song), da canzoni della storia della musica leggera italiana a pezzi che hanno fatto la storia della musica internazionale, rivedendole e reinterpretandole, connettendo l’inconnettibile, citando lui stesso. Non mancano poi pezzi del suo repertorio, anche questi riletti e cantati diversamente. Ma le persone sedute dietro a me non sembrano stupite dalla capacità di estrarre significati nuovi da canzoni già conosciute, maggiormente interessate al rapporto tra la legge di gravità ed il suo ciuffo.
Dimostrata la propria maestria col pianoforte e la sterminata cultura musicale, nel corso del secondo tempo veicola tali abilità in arte ed emozione, proponendo un viaggio interiore dall’Inferno al Paradiso: dall’amore assurdo per una donna che lo affanna e lo distrugge e lo ha logorato dentro a un altro amore ed un'altra donna, la propria figlia. E’ per lei ed insieme a lei che è stata scritta una delle ultime canzoni con cui ha salutato il (suo?) pubblico. E la voglia di lasciarsi alle spalle la travagliata storia con Asia è chiara.
Ed ora, dopo due ore di piano solo e trascorsi due giorni dal concerto, sono ancora qui alla ricerca di un modo per descriverlo, per raccontare di lui e della sua esibizione. Più mi sforzo, più mi accorgo che, se non esistono aggettivi per definire il personaggio, tantomeno non ne basta uno solamente. Non resta che chiamarlo per nome: Marco Castoldi, in arte Morgan.
Mario Mauro
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