di Gabriele Cavezzi*
L’Adriatico sarà di tutti o sarà di nessuno!
20/01/2008 - Questa perentoria affermazione che alcuni anni addietro fu da noi avanzata come provocazione nell’ambito della promozione degli scambi culturali ed economici che intendevamo favorire e sviluppare tra i paesi e le diverse istituzioni che operano nell’ambito di questo mare, ora sta diventando una urgenza assiomatica, soprattutto dopo il recente pronunciamento del Governo della Croazia in ordine alla volontà di spostare i confini delle proprie acque territoriali in alcuni ambiti di sue acquisite competenze. In tale problematica dai risvolti geografici trova posto, per un caso veramente emblematico, un’isolotto, che fin dai tempi antichi porta il nome di Pomo e che rischia di diventare, appunto, il...”pomo” della discordia. Noi naturalmente ci auspichiamo il contrario, convinti come siamo che tale scelta contiene ragioni di indiscutibile fondamento giuridico, ma soprattutto significato di protezione ambientalistica, anche se richiederà sacrifici da parte delle categorie coinvolte nell’utilizzo piscatorio di quello spazio.
Il provvedimento preannunciato, che ha suscitato clamore e sconcerto soprattutto nell’ambito delle nostre marinerie da pesca, se coglie impreparata molta parte della nostra pubblica opinione, non deve sorprenderci. Da sempre, dagli albori della storia di questo mare, sin dai tempi dei Liburni e degli Illiri, quindi dei Greci e dei Romani, delle presenze bizantine, attraverso le invasioni barbariche, il dominio di Venezia, le presenze inglesi e francesi a diverso titolo e nelle alterne ingerenze, lo Stato Pontificio ed il Regno di Napoli, i domini Ottomani e le scorrerie barbaresche, senza contare le vicende dell’ultimo secolo, l’Adriatico è stato un teatro di contrasti ma anche di promozione civile per le popolazioni che vi avevano relazione, con riflessi su tutta l’Europa. Non per nulla molti siti e città che vi si affacciano sono stati dichiarati patrimoni dell’umanità da parte dell’Unesco, e si realizzano incontri istituzionali volti al recupero di quella comune memoria ed alla traduzione di questa in un comune senso di gestirne le risorse.
Dicevamo dell’esigenze di un mare di tutti perchè solo le costanti relazioni dei paesi che vi si affacciano ed il rapporto di questi con il Mediterraneo tutto possono fare ancora dell’Adriatico un cuore pulsante di civiltà, sfuggendo ai ricorrenti nazionalismi, ai pregiudizi che da essi discendono, coltivando iniziative comune su problemi che lo riguardano e confrontandosi, per questi, con il resto dell’Europa. Problemi che riguardano - è vero - la pesca, ma soprattutto l’ambiente, le risorse alieutiche a rischio, il turismo, la sicurezza, la conservazione del patrimonio storico e naturalistico, tutte cose sulle quali dobbiamo cominciare a riflettere soprattutto noi della parte italiana, abituati a sentirci storicamente ed a torto “padroni” di questa mare, ma scarsamente sensibili al suo destino.
Ben venga quindi la volontà, forse anche con intenti velatamente provocatori messi in atto dal Governo della Croazia, di limitare lo spazio degli sfruttamenti indiscriminati, con l’auspicio che questo provvedimento faccia riflettere sopratutto l’Italia e con essa l‘intera Europa.
*Presidente dell’Istituto di Ricerche delle fonti per la Storia della Civiltà Marinara Picena.