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Dr Marco Mattucci

Reparto di Ginecologia e Ostetricia di San Benedetto del Tronto: eccellenze e progetti futuri.

di Nicoletta Amadio*

 

SAN BENEDETTO DEL TRONTO, 2007-02-15 - Siamo al quinto piano dell’Ospedale Civile di San Benedetto del Tronto. Qui luminosa, colorata e movimentata, ha sede l’Unità Operativa di Ginecologia e Ostetricia. Delle attività di reparto, dei suoi punti di eccellenza e dei progetti futuri ci parla il dottor Marco Mattucci che la dirige dal 2002.
“In cinque anni il nostro reparto è cresciuto, e il numero di parti annuo è passato da 450 a 720 circa attuali; sul versante ginecologico si registra un incremento costante degli interventi chirurgici e degli interventi endoscopici e laparoscopici a minima invasività, questi ultimi sono caratterizzati da ricoveri brevi con ripresa funzionale in tempi ridotti. Anche a livello ambulatoriale si è rilevato un trend in crescita: il numero di ecografie si è moltiplicato, così come il numero degli accertamenti per la diagnosi precoce prenatale (Amniocentesi, studio della Plica Nucale e approfondimenti ecografici e di laboratorio)”.
In questi anni, inoltre, tutto il personale dell’Unità Operativa ha riservato particolare attenzione all’accoglienza degli extracomunitari, attraverso una capillare comunicazione rivolta all’orientamento, e grazie anche alla pubblicazione di opuscoli informativi in lingua.
Di recente in Ostetricia sono state attrezzate due moderne sale parto con letti monitorizzati, impiegati sia per il travaglio che per il parto, ed è inoltre in funzione una moderna vasca per il travaglio in acqua.

Passiamo ai progetti.
Due in particolare sono le questioni molto a cuore al dottor Mattucci:
riguardano il parto senza dolore (cosiddetto parto in analgesia)
e la raccolta del sangue dal funicolo ombelicale.

Chiediamo a Mattucci in cosa consiste il parto in analgesia.
“Bisogna intanto premettere che è finito il dogma religioso che recitava ‘tu donna partorirai con dolore’, quasi un’equazione fra il dolore e l’amore per il figlio. Le cose non stanno più così, anzi, spesso il dolore è così traumatico da generare psicosi puerperali i cui postumi possono trascinarsi per anni. Quando si parla di parto in analgesia ci si riferisce alla cosiddetta analgesia peridurale. Questa tecnica permette alle donne di vivere più serenamente il travaglio del parto, poiché vi è una diminuzione del dolore ed una maggiore velocità dei tempi per partorire. Attualmente il numero dei parti cesarei in Italia è superiore al 30%, con l’impiego di questa tecnica analgesica la percentuale degli interventi si assesterebbe al di sotto del 20%. Inoltre l’analgesia epidurale è una tecnica sufficientemente sicura e viene già ampliamente utilizzata nella routine di altri ambiti chirurgici”.

Ma allora cos’è che impedisce l’utilizzazione di questa terapia?
“Il problema è unicamente di ordine organizzativo. E’ compito del nostro Servizio Sanitario Nazionale assegnare risorse economiche per sostenere i costi che tale tecnica comporta. Queste tecniche sono tuttora applicate a macchia di leopardo nel territorio nazionale”.
Mattucci assicura competenza e disponibilità nel cercare di favorirne la diffusione di questa tecnica unanimemente riconosciuta.

“Riguardo al secondo argomento, è mia intenzione raccogliere il sangue del funicolo ombelicale in sala parto” afferma Mattucci “infatti le cellule staminali embrionali, in esso contenute, hanno un valore inestimabile, perché possono essere impiegate in ambiti sempre più vasti nella ricerca medica” continua il ginecologo.

E’ una pratica rischiosa?
“La raccolta del sangue, che avviene con modalità assolutamente sterili e secondo  protocolli conosciuti, non inficia in alcun modo lo svolgimento del parto né comporta rischi per la madre e per il nascituro” sostiene il primario.


In Italia la legge prevede la possibilità di donare in maniera anonima il sangue funicolare presso banche pubbliche, gestite dal Servizio Sanitario Nazionale. Esiste inoltre la possibilità di donare al figlio le proprie cellule staminali raccolte dal cordone ombelicale, depositandole presso enti internazionali privati. Nel nostro Paese, purtroppo,  sono poche le regioni che dispongono di strutture attrezzate per la loro conservazione, e le Marche non sono tra queste. Secondo Mattucci è necessaria una capillare sensibilizzazione pubblica capace di fare pressione sui nostri legislatori affinché provvedano ad istituire in ogni regione almeno una banca per l’estrazione e la conservazione delle cellule staminali.

* ASUR-ZT12, Ufficio Stampa e Comunicazione

 

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