The National @ Musicdrome Milano 21 Novembre 2007
di Claudio Palestini Milano è proprio come te l'aspetti in questa serata di fine novembre. Pioggerellina fine, nebbia sopra i palazzi, frotte di ragazzi che si avvicinano infreddoliti al locale. Il Musicdrome è nascosto tra gli edifici. L'atmosfera è quella giusta per un concerto dei The National. La copertina del loro ultimo album, "Boxer", ritrae Matt Berninger e soci in giacca e cravatta mentre si esibiscono in una balera di altri tempi. L'immagine è in bianco e nero ed ha la carica malinconica, chiaroscurale e nostalgica che si respira nelle canzoni. Il Musicdrome non ha l'aspetto di balera, ma è il locale dove mi sarei aspettato di vedere i The National. Palco striminzito da teatro metropolitano, atmosfera intima, gradinate con tavolini ai lati e pubblico internazionale. Per un attimo Milano si trasforma in New York, via Paravia in Bowery Street. Il compito di aprire il concerto è riservato ad Hayden, talentuoso cantautore canadese, spirito acustico e propensione folk, a metà strada tra Ryan Adams e Neil Young. Hayden si divide tra chitarra, tastiere ed armonica e conquista il cuore del pubblico. Per l'ultimo pezzo salgono sul palco i fratelli Dessner e Devendorf, chitarre, basso e batteria dei The National, per un finale elettrico carico di psichedelia. Tutto è pronto, si spengono le luci, la voce gracchiante di Tom Waits accompagna l'ingresso di tutta la band. "Start a War" è da brividi, un inizio in punta di piedi. Lo Springsteen di "Tunnel of Love" dietro l'angolo, le piccole lotte ed insoddisfazioni quotidiane che si fanno largo tra le elucubrazioni alcoliche di Matt Berninger. "Mistaken for Strangers" è un pezzo che dà l'impressione di essere in questo scorcio di inizio millennio un'assoluta necessità. Il paesaggio è quello metropolitano, le luci notturne di New York fanno da sfondo ad una vicenda di dolorosa presa di coscienza della propria maturità. Surprise, surprise they wouldn’t wanna watch another uninnocent, elegant fall into the unmagnificent lives of adults. Poi è la volta di "Secret Meeting", canzone apridisco di "Alligator", carica, energica, con le chitarre che si rincorrono, l'inconfondibile batteria di Bryan Devendorf a dettare i tempi e la voce baritonale di Matt Berininger che si fa potente, calda e splendidamente evocativa. "Brainy", "Baby We'll Be Fine" e "Slow Show" conducono al cuore del concerto. Tre canzoni d'amore, intrise di malinconia e delicata tenerezza la prima, di problemi, disperazione, bottiglie di whiskey scolate la seconda, di attese, di errori e di ripartenze la terza. Perchè non c'è consolazione nelle liriche di Matt Berininger, e quando canta I don't know how to do this I'm so sorry for everything le ferite gli si leggono in faccia. "Abel" e "All the Wine" sono parenti strette. E' ancora una volta l'alcol a rendersi protagonista delle canzoni. Così sembra davvero di vederli girare ubriachi per le vie di Brooklyn, mentre gli amici non capiscono e gli altri fanno finta di non vedere. New York, così lontana, ma anche così vicina, in questa serata di fine novembre. Matt fa la voce grossa. L'urlo rabbioso, alcolico e disperato My mind's not right My mind's not right va dritto al cuore ed al cervello. Le chitarre sprigionano un energia pazzesca che il pubblico fatica ad assorbire. New York, così lontana, ma così vicina. Nei sentimenti, nelle difficoltà, nei modi di reagire. "Apartment Story" è il nuovo singolo. Ritmo incalzante, batteria in pieno stile The National e ritornello orecchiabile lanciano un finale in cui le chitarre la fanno da padrone. Il pubblico sembra apprezzare, segno che "Boxer" ha fatto centro in pieno. C'è tempo per la malinconia notturna di "Daughters of the Soho Riots" prima della bellissima "Fake Empire". I The National confezionano una canzone di profonda drammaticità nel suono più sfavillante e da hit che conoscono. Un dramma personale che prende forma nel dramma dell'intera umanità. Il mondo a poco a poco sembra sgretolarsi come un castello di carte. "Fake Empire" è l'ultima spallata a quell'american dream di cui gran parte della cultura d'oltremanica, da Philip Roth a Bob Dylan, ne ha raccontato la disgregazione e la disillusione. Una bomba a mano rivestita di vasellina. Che ti entra nel cervello senza far male. Che ti passa nell'orecchio lasciando quel vuoto e quella sgretolazione di cui ti accorgi soltanto in seguito. Quando la musica è finita, quando le luci si spengono e la band lascia il palco. I bis sono affidati a "Green Gloves", alla scatenata "Mr. November", urlata con la rabbia di chi sa di giocarsi le ultime possibilità, e alla splendida "About Today". Un testo semplice sopra alle trame che il violino e le chitarre disegnano nell'aria. Today You were far away And I didn't ask you why canta Matt Berninger con la voce di chi quelle ferite le ha vissute veramente, a suon di sentimenti, di emozioni e di cicatrici. How close am I to losing you. Gli occhi si fanno lucidi, siamo tutti a pensare a quel giorno in cui le distanze si sono fatte troppo grandi per essere ricucite, a quei momenti di dormiveglia in cui parlare about today era forse l'unico modo di mantenersi ancora in vita. Merito dei The National, di quei cinque ragazzi venuti da New York. Merito di questa pazza serata di fine novembre, in cui i chilometri si sono fatti miglia e l'A1 interstate. Hi guys, see you further on up the road.
Setlist:
Start A War Mistaken For Strangers Secret Meeting Brainy Baby We'll Be Fine Slow Show Squalor Victoria Abel All The Wine Racing Like A Pro Ada Apartment Story Daughters of the Soho Riots Fake Empire
Green Gloves Mr. November About Today
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