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PJ Harvey “White Chalk” (Island, 2007) |
Cupe visioni, piccola Pollicino
di Pierluigi Lucadei
Pollicino si siede al piano. Pollicino va alla guerra con un vestito da gran signora pazza d’inizio Novecento. Abbandona l’estetica dell’opposizione, si fa piccina, si rannicchia dietro minute composizioni di soave e misterioso fascino, alter(n)ando buio e luce. Crogiolata al tormento, arresa all’estasi di visioni cupe, corrosa dalla voglia di annerire i suoi orizzonti, mette un verso dietro l’altro con una precisione che denuda la sua anima in maniera spietata. La sua anima in pasto ai signori della guerra che prevaricano l’ordine naturale delle cose per esportare insanità interiore e violenza.
Il canto di Pollicino è un richiamo, la voce è quella di una sirena intenta a perfezionare la sua seduta spiritica perfetta: si contano un’invocazione al diavolo, un’invocazione al buio («dear darkness/won’t you cover/cover me again»), un’invocazione al silenzio e un’invocazione alla propria nonna («oh grandmother/how I miss you/under the earth/wish I was with you»).
Si piantano semi, ma non sempre l’amore è sufficiente a custodire un seme, a crescere una pianta; se l’amore che non basta a se stesso pretende di prendersi cura degli altri, lascia dietro di sé una scia di solitudine a cui neanche la natura può opporsi («the first tree will not blossom/the second will not grow/the third is almost fallen/since you betrayed me so»).
Questo è il disco che Pollicino voleva fare da tempo, nonostante le asprezze forzate di “Uh Huh Her” sembrassero rinverdire il furore dei tempi che furono. Ci sono segreti nascosti in una villa sperduta nella campagna inglese, Pollicino si avventura lì dove non è consigliabile, irriconoscibile persino a se stessa («I tried to learn your language/but fell asleep half undressed/unrecognizable to myself»).
“White Chalk” è la dimostrazione di come spremendo il proprio io fino a farlo sanguinare, non serva alzare troppo il volume o farsi forte delle proprie grida: la magia di un’anima messa a nudo, anche nera come quella di Pollicino, può prendere percorsi ellissoidali e dilatarsi in ballate lontane dalla strada maestra del rock’n’roll, ma quando ti arriva in faccia, stai sicuro, non hai scampo. Arrendersi all’evidenza delle emozioni diventa imperativo categorico.
Arrivi alla fine a corto di fiato, ma hai ancora possibilità di scegliere: pronunciare tutti gli addii di Before Departure o perderti negli acuti che chiudono The Mountain. Nell’uno e nell’altro caso, l’andata è senza ritorno: partire con lucida coscienza e partire affidandosi all’oblio sono due stati mentali che qui coincidono pericolosamente. Da un disco così Pollicino non tornerà più.
Un disco morboso, a tratti malato. Per persone sole chiuse in stanze prive di sorgenti luminose. Che possono accompagnarlo con una lettura del buon Patrick McGrath e una bottiglia di sidro.
“White Chalk” (Island, 2007) Brani: The Devil / Dear Darkness / Grow Grow Grow / When Under Ether / White Chalk / Broken Harp / Silence / To Talk To You / The Piano / Before Departure / The Mountain Polly Jean Harvey – Discografia: “Dry” (1992) “Rid Of Me” (1993) “4-Track Demos” (1993) “To Bring You My Love” (1995) “Is This Desire?” (1998) “Stories From The City, Stories From The Sea” (2000) “Uh Huh Her” (2004) “The Peel Sessions 1991-2004” (2006) “White Chalk” (2007)
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Pierluigi Lucadei
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in Vetrina |
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il 11 Nov 2007 alle 19:55 |
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