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Daniele Segre, Morire di lavoro

Articolo di: Clara Caroli/La Repubblica Torino

Data pubblicazione: 05.01.2008

Testo dell'articolo:
Una dedica obbligata, quella di Daniele Segre, che in questi giorni sta chiudendo il suo film, "Morire di lavoro", pensato, progettato e realizzato (con tutti gli sforzi — tanti — e le gratificazioni — poche — che sempre accompagnano la nascita di un'opera di impegno civile condannata al bassissimo budget), molto prima della strage alla ThyssenKrupp. Una dedica onesta, un po' riluttante. Perchè non si può non dedicare ai sette caduti nel rogo dell'acciaieria un film che racconta le morti bianche, che dà conto della tragica contabilità annuale della "guerra civile", così la chiama Segre, che si combatte nelle fabbriche e sui cantieri.
"Eppure bisogna farlo senza cadere nella trappola del grande spettacolo mediatico — precisa il regista alessandrino, autore pluripremiato di numerose opere a tema sociale — che fa anche della Thyssen un "caso" da talkshow, come Cogne, come Garlasco, salvo poi ignorare del tutto la questione degli incidenti sul lavoro".
Si deve procedere con cautela, in questo momento delicato, con l'emozione a fior di pelle, con la rabbia e il dolore ancora freschi.
"Non è solo per gli operai della Thyssen questo film — spiega Segre — E' per tutti i lavoratori che combattono quella guerra civile nell'anonimato, nell'invisibilità. Sono stati 1484 i morti in Italia nel 2007, cifra incompleta e sottostimata. Il nostro paese si è battuto per la moratoria sulla pena di morte. Bene, allarghiamo il tema: perchè anche i luoghi di lavoro equivalgono, per molti operai, e l'incendio nell'acciaieria lo prova, a condanne a morte".
Dopo l'incidente alla ThyssenKrupp, Segre ha dato una brusca accelerazione al suo lavoro. Il film è realizzato dalla sua casa di produzione, I Cammelli, con il sostegno del Doc Film Fund istituito dalla FilmCommission di Steve Della Casa, e con la collaborazione del sindacato costruzioni della Cgil. Avrebbe dovuto essere pronto a primavera.
"Ma gli eventi di queste settimane — dice il regista — mi hanno spinto a terminare il montaggio in fretta. Per rispettare l'impegno preso con i protagonisti del documentario e le loro famiglie".
"Morire di lavoro" sarà pronto tra una settimana e Segre lancia una proposta: "Vorrei fare l'anteprima alla Camera dei Deputati, dal presidente Bertinotti che mi ha ricevuto la scorsa estate. Sarebbe una risposta all'appello del presidente Napolitano a una riflessione sul terra delle morti bianche".

Segre, il suo film è il frutto di un anno di ricerche sul campo, nei cantieri edili di Piemonte, Lombardia, Lazio e Campania. Come è nata l'idea e perché ha scelto il settore edilizio?

"Perché è il settore più colpito in questo drammatico bollettino di guerra, quello che paga maggiormente il debito di morte. Da molto tempo pensavo di fare questo film, ma ho sempre incontrato grosse difficoltà a trovare finanziamenti. Il progetto ha ripreso vigore dopo l'appello del presidente della Repubblica che ha riportato in primo piano l'argomento degli incidenti sul lavoro".

Cosa è andato a dire a Bertinotti?

"Sono andato portare la mia proposta culturale. Il film può essere un'utile indicazione per il legislatore".

Non solo storie di morte, anche storie di vita.

"Sì, racconto tutte le difficoltà che stanno attorno agli incidenti sul lavoro, che si abbattono sulle famiglie come tsunami che annientano tutto. Racconto l'angoscia dei parenti che oltre al dolore devono subire le follie burocratiche, i costi delle battaglie legali, e si trovano ad affrontare improvvisamente il problema della sussistenza".

Un film sulla classe operaia?

"Certamente. Per tornare a parlare degli operai, dopo tanto tempo. Per tornare a dare loro un diritto di parola che ritengo sacrosanto".

Ma non è vero che degli operai si parla solo quando muoiono?

"Purtroppo sì. È necessaria una nuova coscienza, un cambio di mentalità. Credo che il cinema sia uno strumento culturale adatto a questo scopo. Di questo ho palato con il presidente della Camera".

Quale storia l'ha colpita di più sul cantieri del civilissimo Piemonte?

"Quella di Agnese, moglie di un operaio in coma da tre anni dopo la caduta da un ponteggio in un cantiere vicino ad Asti. Un lavoratore non in regola, naturalmente. Al momento dell'incidente non è stata chiamata un'ambulanza, l'operaio è stato trasportato a casa sul furgoncino del suo datore di lavoro. Non ha ricevuto le cure adeguate, la situazione si è complicata e quando è stato portato all'ospedale ormai era tardi".

II datore di lavoro è stato sanzionato?

"Dopo tre anni l'inchiesta è ancora in corso".
(da danielesegre.it) 


 Redazione 

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