Lavandomi il viso dalle carrellate di immagini che in questi giorni investono l’affollamento mediatico di tutto il mondo, tenterò di ricordare brevemente la difficile situazione birmana, ennesima manifestazione di repressione violenta dei diritti civili dell’uomo.
2007-09-28 - Posta nella zona sud-orientale del continente asiatico, la Birmania è da tempo considerata uno dei paesi più storicamente antidemocratici della terra, scandita da eventi decennali ricchi di colpi di stato e risposte studentesche, prese di potere forzato e rivolte popolari, in un continuo contrapporsi tra pretese dittatoriali e volontà di democrazia. Nel mezzo naturalmente guerriglie nazionali e vittime innocenti, migliaia e spesso taciute dalla prepotenza del potere.
Premettendo ciò arrivo al nocciolo della questione dei nostri giorni.
Il governo che capeggia negli ultimi anni la politica della Birmania è quello del generale Than Shwe, dittatore che senza eccezioni continua la linea antidemocratica che da 40 anni affligge il paese: prigionieri politici, torture e delitti, repressioni e proibizioni alle libertà basilari della democrazia sociale, sterminio di minoranze etniche e soprusi dell’esercito (cito ad esempio lo stupro di massa, legalizzato come strumento di controllo sulla popolazione). La povertà della nazione inoltre, nonostante la Birmania venga tutt’oggi considerata tra i principali paesi in via di sviluppo, è tesa a livelli tra i più alti al mondo, estesa alla maggior parte della popolazione impossibilitata ad avere accesso ai più necessari servizi di sopravvivenza (a partire dalle cure mediche). Statisticamente i numeri giocano all’attenzione più delle parole: 1 bambino su 10 muore prima dell’anno di vita. Si aggiungano poi l’alto tasso di lavoro forzato ed il più alto numero di soldati bambini al mondo per rendersi conto di una situazione nazionale ai limiti dell’umano. Nella semplicità innocua dei piccoli gesti quotidiani, persino l’ascolto della musica è regolamentato dal governo (comprare o importare album degli U2 può costare ad esempio dai 3 ai 20 anni di carcere).
Triste artefice di tutto ciò è naturalmente il regime politico, tornato alle cronache nelle ultime settimane dopo aver ulteriormente messo in ginocchio la popolazione con l’aumento dei prezzi del carburante. Da qui le proteste, iniziate nel corrente settembre, dove migliaia di monaci buddisti sono scesi per le strade in segno di manifestazione non violenta, e raggiunti da altre migliaia di persone comuni volenterose nel sostenere la causa dei religiosi. Attraversando le principali città della nazione ed i principali centri amministrativi della politica birmana, il corteo ha fin’ora camminato a piedi nudi per giorni interi, sotto intemperie e tenendosi unito per mano, quasi a voler costituire il cerchio protetto e compatto di una comune rabbia civile. Elemento ulteriormente condiviso nelle ragioni dei protestanti è la decennale detenzione di Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace e rappresentante storica della lotta del popolo birmano per la democrazia e la libertà, catturata dal governo dittatoriale dopo aver regolarmente vinto le elezioni nel 1990.
Ma la degenerazione nell’odio fa parte dell’uomo, cosicché alla protesta la risposta dell’esercito non si è fatta naturalmente attendere, dando immediatamente vita ad una durissima repressione con arresti ed omicidi. Morti, fin’ora almeno sei, feriti, arrestati e chiusura di ogni canale di comunicazione col mondo esterno, a tener celato il disumano accanimento antidemocratico che il governo sta compiendo nella più totale libertà. Gli arresti sono all’ordine del giorno; già nelle prime ore della protesta erano oltre 150 gli uomini catturati, numero che aumenta ancor più in questi giorni e che ancor più tristemente viene infoltito di vittime ree di aver manifestato pacificamente il loro dissenso all’ingiustizia dell’amministrazione.
E nonostante i monaci stessi scoraggino la gente comune dall’unirsi al corte per timore di repressione verso i civili, il cammino continua, con tutta la storia alle spalle di un paese che non ha gli auspici migliori per sperare che tutto possa risolversi in maniera democratica (i ricordi dell’uccisione di circa 3.000 persone nel 1988, quando i soldati repressero manifestazioni pro-democrazia, sono ancora freschi nell’animo dei fedeli). Segnalo però la solidarietà del mondo credente tutto nei confronti della protesta, a dimostrare la volontà di sostegno mondiale ad una causa universale, al dì la dell’appartenenza spirituale: nella giungla moderna dei nostri fanatismi religiosi, monaci e dissidenti hanno fatto appello alle comunità estere di cristiani e islamici affinché sollecitino i propri fedeli a supportare la causa buddista, ricevendo consensi unanimi da entrambe le parti.
Dal canto loro i palazzi di vetro si radunano dietro grandi tavoli d’ebano a discutere. E discutere. E discutere, facendo prevenire interessi personali sull’urgenza di una situazione che necessita d’esser tamponata al più presto. I libri intanto scorrono a scaglie la storia del paese birmano: date e cifre si ripetono come sempre le stesse: 1962, 1988, 2007: passano gli anni e l’ingiustizia non cambia, e se si gira una pagina di storia non si volta in meglio la coscienza dell’uomo.