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Kebab: minaccia per la cucina italiana?

Il panino ripieno di carne, tipico del Medioriente, costa poco, sazia, piace, e si può trovare a tutte le ore del giorno. Tanto da fare concorrenza al piatto italiano più famoso al mondo: la pizza.

19/11/2008 - E’ dello scorso 18 Novembre la notizia riportata da tutti i Tg nazionali dell’alleanza Milanese-Bresciana contro i Kebab e le gastronomie etniche della città, economiche e aperte a tutte le ore del giorno, che farebbero quindi una spietata concorrenza ai ristoranti italiani. La dichiarazione d’intenti - due proposte di legge ad hoc presentate dal Carroccio al Pirellone - è stata illustrata ieri all’ombra della Loggia dal vicesindaco leghista, Fabio Rolfi, e due consiglieri regionali: il bergamasco Daniele Belotti e il bresciano Ennio Moretti. Una scelta non casuale, dal momento che proprio la città della Leonessa è l’emblema di quella che è stata definita «un’emergenza-kebab». «Solo in città se ne contano oltre un centinaio - calcola Rolfi - posizionati per lo più in centro. Un fenomeno incontrollato, di difficile gestione per gli enti locali, privi come sono di strumenti normativi adeguati». Un problema, dunque, sentito in tutti i centri interessati da flussi d’immigrazione consistenti, che la Lega intende affrontare su ogni livello istituzionale.
Da anni, infatti, gli europei stanno diventando i più grandi divoratori di kebab del mondo: ogni giorno nel vecchio continente vengono consumati 3 milioni di questi panini alla turca ripieni di carne alla griglia, verdure fresche e salse piccanti. Tutto cominciò negli anni ’70, quando alcuni immigrati turchi portarono questa pietanza in Germania, da cui poi si è diffusa rapidamente in Francia e in Gran Bretagna. Da qualche tempo ha conquistato anche l’Italia e sempre più si vedono spuntare Kebab ad ogni angolo della città, spesso dando vita a fatti curiosi, come quelli di trovare questi locali nei posti più impensati (Bologna, Capri, Venezia, Napoli), simboli della cucina italiana e della raffinatezza.
Il Kebab, pertanto, sta diventando più diffuso della pizza: la conferma del successo è sotto gli occhi di tutti e anche un’inchiesta condotta da un periodico sostiene che a Milano ci siano più di 100 “kebaberie”, superando di gran lunga i fast food, mentre a Brescia ce ne sono la metà. La situazione di certo non cambia nelle altre regioni, e basta girare per i centri di qualsiasi città, anche paesini di provincia, senza imbattersi in locali del genere. Addirittura su internet ci sono siti specializzati dove appassionati di ogni età danno i voti ai migliori (e ai peggiori) kebab della città in cui vivono. I locali sono in gran parte gestiti da immigrati turchi, iraniani, greci, pakistani ed egiziani, che arrivati in Italia si sono dati alla cucina e sono diventati piccoli imprenditori. Un’inchiesta sul campo, però, ha rilevato anche la presenza di molti gestori cinesi, che evidentemente hanno fiutato il business, e, inoltre, anche il franchising comincia a farsi strada, soprattutto fra le proposte di alcuni negozi di alimentari e bar.
Il successo del Kebab è semplice: è gustoso ed economico. Lo dicono i giovani intervistati dalla società di ricerca Coolwatch: i negozi di kebab rappresentano un’alternativa più umana e multietnica dei fast food, più comoda perché fanno orari no-stop, e più conveniente, perché costano dai 2 ai 5 euro. Il Kebab, dice la ricerca, piace perché è saporito ed evoca paesi esotici, ma anche perché viene preparato al momento e con ingredienti naturali. Incuriosisce perché è ancora relativamente “nuovo” e lo si può mangiare per strada, di notte dopo la discoteca, mentre si fa shopping per il centro.
Ma cos’è il Kebab? La sua storia ha origini antichissime, e risale al decimo secolo dopo Cristo, ma quello che si mangia oggi in Italia è nato nella città turca di Bursa nell’800 ed è cucinato in base la versione turco-ottomana. E’ preparato con un enorme spiedo di forma conica (da qui il nome che significa “arrosto rotante”) ed è composto da strati alternati ci carne ovina marinata e grasso (arrivando a pesare più di 20 kg). Le carni dopo essere state marinate nelle spezie, vengono infilzate sullo spiedo e cotte lentamente, dall’esterno verso l’interno, e l’utilizzo di griglie verticali permette di raccogliere ai piedi dello spiedo i liquidi che fuoriescono dalle carni durante la cottura, e poi riutilizzarli per insaporire la carne stessa. Di tipologie ce ne sono diverse (doner, durum, shish, adana, urfa, iskender, tavuk, gyros e kofte) e variano anche a seconda delle materie prime e delle abitudini alimentari del luogo in cui il kebab si stabilisce. E’ per questo che oggi esistono decine di versioni con vari tipi di carne (ormai si trovano anche vitello e tacchino), differenti condimenti e verdure diverse. Tutto sommato, pertanto, il kebab può essere considerato un pasto abbastanza bilanciato, soprattutto se alla carne si uniscono verdure grigliate e pane arabo. Le calorie per porzione variano in base alle carni scelte e alle salse che si aggiungono (preferire l’harissa, ovvero purea di peperoncino, alla maionese), ma «in ogni caso», sostiene il professore Pietro Antonio Migliaccio, docente di Scienze dell’alimentazione all’Università di Roma, «si tratta di un piatto con un buon apporto di proteine e piuttosto magro, poiché il grasso della carne si scioglie con il calore e cola via dallo spiedo».
Viene dunque spontaneo chiedersi come mai ci sia tanto accanimento contro le gastronomie etniche, che sembrano almeno più genuine dal punto di vista alimentare di tanti altri prodotti anche made in Italy, addirittura ricorrendo a sanzioni e provvedimenti legali, e, invece, non considerando minimante il dilagare dell’americano Mc Donald’s, che con i suoi panini ipercalorici ha molte più potenzialità di far ingrassare persone di mezzo mondo.
Beh la risposta è semplice. Anche in questo caso il discorso è puramente opportunistico: meglio troncare le gambe a turchi e pakistani, che toccare gli americani e tutti i vantaggi che ne derivano.


 Barbara Poli

Cronaca e Attualità

Oblò: Appunti e Spunti

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