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Fabri Fibra

Brucia il braciere dell’hip hop italiano: da Milano a Palermo tra delirio e poesia maledetta

Era parte del piano. Era logico pensare che tutto sarebbe venuto a galla prima o poi.

Esplode il braciere dell’hip hop in Italia, fino all’ultimo tiro, tra delirio e racconti di chi sa alzare la voce e in un modo o nell’altro attira l’attenzione per farlo.

E’ l’anno della nuova scena hip hop italiana. Nuova? La prima forse, che strappa a morsi il coperchio di bara nella quale sempre è stata parlando sotto una feccia discografica sorda ai lamenti di una generazione che pensa negativo. Da Milano a Bologna, da Napoli a Palermo, si alza il grido di chi ancora spera che qualcosa possa cambiare in un paese “carico di frustrazione, drogato dall’ansia di apparire e dal miraggio di un successo in stile 'Grande Fratello'”.

Giro canali musicali e vedo cappelli NBA e felpe XL sulla scia di un miraggio americano dove Eminem e 50 Cent sono gioielli protagonisti di un’industria discografica sbancante, di un business fin troppo finto e costruito per essere il via libero ad un mondo di lettere, sogni e paure. Ma siamo in America e in effetti il rap viene meno nella sua essenza poetica se pensi alle pupe seminude da copertina e alle pistole in vendita nei supermercati.

Tutto però sembra parte del piano se pensi che è quella solo la superficie lavorata di un mondo e di una cultura più profonda e combattiva che nell’underground pone radici ed accoglie chiunque di pugno decida di imprimere sensazioni ad inchiostro, su un mondo che esclude e riduce ad un paio di jeans da sfilata e minigonne inguinali la gente. La piattezza, la regolarità degli stereotipi, la popolarità di chi non merita sguardi ed inquina media e le nostre teste inforcate di stronzate, la monotonia della scena musicale attuale, scontata e generica (quella di sempre ad eccezione dei pochi che emergono col binomio bravura ed immagine), viene strappata da chi in un modo o nell’altro descrive il mondo di chi in fondo in queste vesti ci resta forzato e stretto.

Fabri Fibra è il simbolo di una nuova realtà musicale che sempre è esistita ed ora ha l’opportunità per vendicare nuova voce. E lo si acclama e lo si canticchia e davvero non potevo pensare due anni fa di trovarlo su Mtv dopo i video musicali di quella amata compagnia italiana perennemente alla ricerca dei cosiddetti “buoni sentimenti” per far presa sulle ragazzine. Inutile negare il discorso commerciale che si affianca alla musica, impossibile non volere che la rabbia da cane fottuto e poeta del rap resti inviolata nell’underground, ma c’è, in radio c’è, in tv c’è, e l’incazzo che travasa nella figura della nuova scena italiana non è solo un ritornello canticchiato sui lungomari di città, ma il discorso di chi ora vendica voce nuova e la possibilità di smascherare senza cadere nel banale.

Il delirio psichiatrico e la provocazione del marchigiano lasciano spazio al disagio e alla croce sulla schiena di Marcio e del suo sottosuolo milanese, o ancora a quello romano dei Truceboys o dei Cò Sang, nella rivoluzione napoletana fuori dalla canzonetta e dai mandolini e nelle strade a sussurrare, sottovoce la voglia di cambiare che cresce.

E tutto era destinato a saltare agli occhi italiani modellati ed abituati al positivismo rappato di Jova, Gemelli Diversi e diversi altri cazzoni in cerca di contratti e slogan benpensanti.

Abbiamo paura, è una generazione in guerra (è una parte di quella generazione senza nome né ideali che vuole avere il merito di averci provato).   

E ancora Kiffa, Club Dogo e Cor Veleno. Il discorso sale con Fabiano, detto Inoki, forse in un contesto meno violato, ancora non troppo popolare e svenduto, finendo con Bassi Maestro (e altri) e Assalti Frontali ( finendo? con questi ultimi veterani della scena che sono bandiera e buona parte della torta di rime tra politica e poesia).

E tutto era parte di un piano che da una parte vedo preoccupato se finirà alla sfascio contaminando e sminuendo la funzione rivoluzionaria di chi davvero ci crede in quelle lettere ad inchiostro sui blocchetti nei tasconi larghi. Ma d’altro canto siamo in Italia, e se per salire sul podio dei vincitori basta un ritornello che ti consacri idolo indiscusso, un calcio nel…da un giorno all’altro può lasciarti col muso per terra sull’asfalto da cui sei partito.

E’ come se il rap dovesse limitarsi a curare la base e a stimolare un plotone che poi andrà da se. La base lavora e fermenta, anche lontano dal miraggio d’America, anche lontano dai media e dalla popolarità improvvisa per chi sempre è stato applaudito a sipario chiuso.

Con o senza schermi puntati, l’essenza di una poesia maledetta che sempre continuerà a graffiare.


 Alex Urso

Cultura e Spettacoli

 Articolo letto 297 volte. il 25 Jul 2006 alle 15:15
 
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