MARTEDÌ 6 MAGGIO INCONTRO ALL’UNIVERSITÀ DI URBINO
CON IL CRITICO ANDREA PORCHEDDU
AUTORE DEL LIBRO
IL FALSO E IL VERO, IL TEATRO DI ARTURO CIRILLO
Urbino – Martedì 6 maggio alle 17.00 nella Biblioteca dell’Istituto di Lingue dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” – piazza Rinascimento, 7 -, incontro con Andrea Porcheddu, ospite della cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo, tenuta da Gilberto Santini, e autore del libro Il falso e il vero. Il teatro di Arturo Cirillo (Titivillus, 2008).
Andrea Porcheddu, 1967, critico teatrale e giornalista, vive a Roma. Insegna Metodologia della critica dello spettacolo alla Facoltà Design e Arti dell’Università Iuav di Venezia, e scrive per delteatro.it. Ha collaborato con diverse testate nazionali ed ha diretto il bimestrale Teatro/Pubblico, edito dal Teatro Stabile di Torino. Tra i suoi libri, L’invenzione della memoria: il teatro di Ascanio Celestini (Il principe costante edizioni, 2005), Il compagno di banquo: scritti su teatro e scuola (Fabio Croce Editore, 2002), Adriatico, manuale per un viaggio teatrale nei Balcani (Edizioni Css Udi¬ne, 2001), Casa degli Alfieri, la terra e la poesia (Titivillus, 2001), oltre a numerosi saggi e ai romanzi noir Piccola tragedia, in minore (Fabio Croce Editore, 2000) e Amarti m’affatica (Maschietto editore, 2006).
In questa sua ultima fatica editoriale indaga il lavoro di un vero e proprio “teatrante” di razza, Arturo Cirillo, regista, attore e capocomico conosciuto e apprezzato nella nostra regione che proprio ad Urbino allestì e presentò in prima nazionale Le intellettuali di Molière, uno dei suoi spettacoli più riusciti e di successo. Ne Il falso e il vero, dopo una lunga intervista con Cirillo, testimo¬nianze degli attori e del gruppo di lavoro corredano un ritratto che è umano e artistico. Nato a Castellammare di Stabia (Napoli) nel 1968, diplomato al¬l’Accademia “Silvio d’Amico” di Roma nel 1992, ha lavorato a lungo con Carlo Cecchi in spettacoli memorabili, per poi intraprendere un percorso artistico di grande forza e fascino. Cirillo anima prosa ipercontemporanea o versi molieriani di perso¬naggi che sono stralunate maschere, inquietanti e spesso violente, implacabili e accidiose: non c’è spazio per eroi nel suo teatro, ma solo per non-eroi di un’esperienza umana ancora non vissuta, invi¬schiati nella realtà melmosa che tutto e tutti attanaglia. “Vorrei fare un teatro ambiguo, dell’irrequietezza”, così parla del suo lavoro nel quale mette in scena una realtà vista di sghimbescio, ellittica, sfuggente dove il comico è la maschera per esprimere il disagio del mondo vissuto. In quel confronto costante ed eterno tra vita e teatro che segna questo inizio secolo ed ha segnato tutto il Novecento, Arturo Ciril¬lo ha colto una banale e sconcertante verità: che l’arte, così come la vita, non porta a niente, non vi è lieto fine, mai.