È sbagliato considerare “I segreti di Brokeback Mountain” solo come una pellicola di rottura a causa della sua tematica omosessuale. È sbagliato creare attorno a questo film una serie di polemiche infondate: queste ultime non fanno altro che alimentare ed accrescere l’interesse per questa magnifica storia. Recentemente premiato ai Golden Globes, e precedentemente al festival di Venezia, “Brokeback Mountain” non va inquadrato come una storia fra due uomini, ma solo come una bellissima e tormentata relazione, come qualsivoglia grande storia d’amore. La scelta di portare sullo schermo il romanzo di E. Annie Proulx “Gente del Wyoming” (edito da Castoldi) sarà stata senza dubbio ardita e combattuta, ma il film non può restare legato esclusivamente alla sfera dell’omosessualità. Inizialmente nessuno aveva intenzione di realizzare pienamente il progetto, soprattutto perché nessun giovane attore voleva mettere a rischio la propria carriera, interpretando un ruolo gay. Ang Lee è arrivato al momento giusto, in cui i personaggi gay sono ormai una presenza fissa nel ripetitivo panorama cinematografico americano, da Capote a Mrs. Henderson Presents, da Rent a Breakfast on Pluto. Il risultato è una sorta di Romeo e Romeo, dove passione, poesia e paure umane, si intrecciano con una sensibilità che non rifiuta, ma trascende, l’elemento gay. Brokeback Mountain è una storia d’amore senza fine, senza limiti, vissuta e interiorizzata con le problematiche umane tipiche di qualsiasi storia sentimentale. Ang Lee sul set ha sfruttato l’imbarazzo reale e crescente dei due protagonisti, facendo spesso ripetere le scene più forti (in realtà vi è una sola scena forte, quella del primo rapporto nella tenda), anche i baci spesso nascosti da inquadrature sapienti; così Heath Ledger e Jake Gyllenhaal (Ennis del Mar e Jack Twist), vivono i loro sentimenti con impaccio, paura ma soprattutto con vitale passione. La loro storia, nata sulle montagne di Brokeback, che resterà per sempre il loro piccolo angolo di paradiso, si protrae per vent’anni, superando le iniziali diffidenze ed anche le prove di rifarsi una vita “canonica”, con l’infelice tentativo di trovare una compagna che cancelli quelle montagne. Ma anche qui, l’amore vince su tutto, e pur se passano quattro anni, il loro legame è a tal punto forte, che li spinge a intrecciare una relazione clandestina, che li accompagnerà per buona parte delle loro vite. Il Wyoming è valorizzato magnificamente dalla regia di Lee, che lo rende un impossibile ed introvabile paradiso sentimentale, dove è resa al meglio la fisicità dei due personaggi, in un cammino che li spinge dal sesso all’amore, fra il rimpianto – l’intenso finale – e l’ovvio ostracismo sociale, comprensibile nel microcosmo sociale dei cowboy. L’idea è che questi cowgay, con il loro romanticismo sincero, vinceranno l’Oscar.
Alessandro Orecchio
Recensioni – mercoledì 25 gennaio 2005, ore 8.56