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“Non ho risposte semplici. Il genio del cinema si racconta” (Minimum Fax, 2007) |
Stanley Kubrick “Non ho risposte semplici”
«L’uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche nel caso in cui scelga il male. Privarlo di questa possibilità di scelta significa renderlo qualcosa di subumano: un’arancia meccanica, appunto.»
“Non ho risposte semplici” è un volume fondamentale per capire cosa si nasconde dietro la visionaria creatività di Stanley Kubrick, uno dei maggiori cineasti di sempre, per alcuni il più grande di tutti. Trattasi di una raccolta di interviste concesse da Kubrick in occasione dell’uscita dei suoi film e copre un periodo che va dal 1959 al 1987. Come noto, infatti, nel 1999 il regista morì immediatamente dopo aver ultimato “Eyes Wide Shut”, pertanto non ci sono interviste relative al suo ultimo film. Si arriva fino a “Full Metal Jacket”, quindi, passando per il rinnegato “Spartacus”, alla regia del quale Kubrick subentrò in corso d’opera, per l’adattamento nabokoviano di “Lolita”, per l’inarrivabile trilogia di fantascienza (“Il Dottor Stranamore”, “2001: Odissea nello spazio”, “Arancia meccanica”), per il progetto sempre naufragato di portare sul grande schermo la vita di Napoleone, per l’ambizioso “Barry Lyndon” e per le innovazioni horror di “Shining”. Nel corso delle trecento pagine del libro si scoprono le manie dell’uomo Kubrick (la paura del volo, la pignoleria con cui correggeva le interviste rilasciate dai lui stesso, la passione per gli scacchi) e il metodo di lavoro del genio (le letture sfrenate alla costante ricerca del materiale tematico da adattare, la scelta degli attori, la pignoleria e lo stakanovismo nelle riprese, l’amore per il crudo realismo, la dedizione al montaggio come forma d’arte peculiare del fare cinema). Lontano dalla figura di intellettuale che i più associano immediatamente al suo nome, Kubrick era in realtà una persona pragmatica e poco interessata alle speculazioni sui significati reconditi delle sue pellicole, quasi propenso a rifiutare gli elementi filosofici e metafisici presenti nel suo cinema o quantomeno a lasciarli all’esperienza soggettiva dello spettatore, specie nell’essenziale “2001: Odissea nello spazio”, a proposito del quale diceva «il film diventa qualsiasi cosa lo spettatore vi veda dentro, se il film suscita emozioni e penetra nel subconscio dello spettatore, se stimola, seppure in modo grezzo, i suoi aneliti e impulsi mitologici e religiosi, allora è riuscito nel suo scopo»: molto antieuropeo in questo atteggiamento, tipicamente americano, nonostante nel corso della sua vita il regista abbia più volte dovuto subire accuse di antiamericanismo, per via della sua scelta di vivere a Londra. Quella che viene fuori leggendo le sue stesse parole e, associando queste ultime nella mente alle immagini indelebili dei suoi capolavori, è la figura di un uomo completamente dedito alla sua arte, solitario, a tratti impenetrabile, decisamente pessimista sul destino dell’uomo nei confronti degli strumenti e dei simboli di civiltà e di civilizzazione, dal monolite al computer, dalla rieducazione barbara al fucile, dalla bomba alla maschera usata per partecipare ad incontri orgiastici. Un regista discusso, spesso incompreso e malinterpretato, autore di pellicole che, nessuna esclusa, hanno bisogno di tempo e di visioni ripetute prima di entrare nell’immaginario dello spettatore e non uscirne più.
Stanley Kubrick, Filmografia: Fear and Desire (Paura e desiderio), 1953; Killer’s Kiss (Il bacio dell’assassino), 1955; The Killing (Rapina a mano armata), 1956; Paths of Glory (Orizzonti di gloria), 1957; Spartacus, 1960; Lolita, 1962; Dr. Strangelove, or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il Dottor Stranamore, ovvero: Come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba), 1964; 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio), 1968; A Clockwork Orange (Arancia meccanica), 1971; Barry Lyndon, 1975; The Shining (Shining), 1980; Full Metal Jacket, 1987; Eyes Wide Shut, 1999.
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 02 Jul 2007 alle 16:12 |
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