L'Uomo, l'arte e il lavoro
GENOVA - "Tempo moderno. Da Van Gogh a Warhol. Lavoro, macchine ed automazione nelle arti del Novecento": la rassegna artistica dedicata al tema del lavoro che si terrà presso il Palazzo Ducale dal 14 aprile fino al 30 luglio.
In occasione del centenario della fondazione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil), il capoluogo ligure presenta una singolare mostra, curata dal critico d’arte Germano Celant con Anna Costantini e Peppini Ortoleva, che affronta il tema del lavoro nella società industriale e post-industriale. Dipinti, sculture, foto, video danno vita ad un percorso espostivo il cui nucleo centrale è dato dal rapporto o, meglio ancora, dal parallelismo tra uomo e macchina, uomo e lavoro. E come ciò è stato visto e rappresentato dai maggiori esponenti della classe artistica: a partire dal Novecento però, perché prima di allora l’arte ha faticato a incanalarsi su questi impervi binari, preferendo occuparsi per lo più di tematiche religiose o di trasposizioni paesaggistiche.
Si inizia con Van Gogh, il quale, con molta probabilità, è stato uno dei primi artisti a far entrare nelle sue opere e nella sua attività il tema del lavoro. Celebre è I mangiatori di patate in cui esprime le condizioni di miseria e al contempo di semplicità della classe operaia. Passando dal dadaismo di Jean Tinguely alla miseria del lavoro trasmessa delle foto di Sebastiao Salgado piuttosto che quelle di Andreas Gursky o di Uliano Lucas. E quindi il ciclo de I costruttori realizzato da Fernand Leger, artista vicino al cubismo, le cui opere pongono al centro di tutto non tanto l’uomo quanto le macchine, viste come frutto del suo lavoro e segno dei tempi che cambiano. Senza poi dimenticare le prestigiose pellicole cinematografiche di Charlie Chaplin, prima fra tutte Tempi Moderni, del 1936, in cui viene strepitosamente evidenziato come il ritmo delle macchine fosse già allora divenuto l’orologio dei comportamenti umani. E quindi il più recente Paul, Mick e gli altri di Ken Loach (2001) che getta lo sguardo sui lavoratori delle ferrovie e della loro condizione a seguito dei processi di privatizzazione. Dall’umiltà del contadino di fine ottocento all’operaio massificato di fine novecento; dalla pittura al cinema: un secolo di storia ma anche una pluralità di linguaggi con i quali comprendere l’evoluzione del lavoro e del lavoratore, della società e delle varie forme artstiche. Il tutto proposto in maniera un po’ alternata, senza seguire cioè un precisa linea cronologica, come conferma lo stesso Celant: "Non ho voluto un esposizione cronologica. Ho preferito mescolare l’operaio idealizzato, macho ed eroe, di fine Ottocento con l’individuo anonimo, quasi bestiale, che oggi lavora nelle miniere sudamericane o nelle fabbriche cinesi…perché nella contemporaneità gli artisti si sono via via staccati dal lavoro, si sono impegnati più sull’oggetto oppure sull’arte stessa come lavoro..."
Inoltre la mostra prevede tutta una serie di laboratori ed attività collaterali, conferenze dedicate all’arte, alla musica e al teatro per comprendere ed approfondire le tematiche della mostra. In particolar modo incontri dedicati agli studenti, ai più giovani e a tutti coloro che desiderano conoscere il sottile legame che unisce l’uomo al lavoro e viceversa.
Per info: www.tempomoderno.it
|