“The libertine” di Laurence Dunmore
Smessi i panni del disneyano pirata de “La maledizione della prima luna”, Johnny Depp torna a deliziare i suoi fan (o almeno ci prova) con un ruolo trasgressivo e anticonvenzionale. Era dai tempi di “Paura e delirio a Las Vegas” e “Blow” che Depp non si cimentava con un personaggio fuori dal normale e non si confrontava con quei demoni allucinanti che per tanto tempo hanno caratterizzato anche la sua vita oltre lo schermo. “The libertine” racconta la vera storia di John Wilmot, secondo conte di Rochester e amico intimo del re Carlo II: la sua vita dissoluta contraddistinta da un esasperato cinismo e il suo sfrenato amore per le pratiche sessuali, lo mettono in una posizione di assoluto contrasto con la famiglia reale, portandolo paradossalmente però ad ottenerne anche rispetto. Johnny Depp si cala perfettamente nei panni di un uomo eccentrico ma dotato di una personalità affascinante, caratterizzato da quell’aria strafottente che lo fa o amare o indiscutibilmente detestare e che troverà l’amore in maniera del tutto inaspettata, in quel teatro tanto amato e che nella più classica delle leggi del contrappasso lo porterà alla rovina. Innamorato di una splendida e giovane attrice ma soprattutto della sua immagine, John Wilmot si struggerà per amore, si ammalerà di sifilide, vedrà la sua amata dileguarsi e il suo volto deturparsi lentamente. Prima di morire però riuscirà a servire fedelmente quella monarchia tante volte sbeffeggiata, aiutando il sovrano Carlo II a salvare la corona dalla minaccia dei cattolici. Il film di Dunmore, pur avendo il merito di sdoganare un Depp ormai versione family-comedy, risulta però convenzionale e caratterizzato da una regia acerba ed inesperta. Lo stesso Johnny Depp, atteso dal suo pubblico in un ruolo dark e dalle tinte forti, finisce col risultare poco credibile, alla ricerca perenne degli eccessi e di quel piacere ripetuto sempre in maniera meccanica e mai avvertito veramente. Il testo tratto da una piece teatrale di Stephen Jeffreys si trasforma nelle mani del regista Dunmore in una monotona rivisitazione della vita del poeta John Wilmot, rappresentando questo conte di Rochester come il più banale degli anticonformisti, credendo di ritrarne la dissolutezza attraverso il suo peregrinare notturno per le vie di Londra, con una mano intenta a tenere stretta la bottiglia e l’altra ad indicare l’ipocrisia della sua realtà cittadina. La prova di Depp è sicuramente di quelle che faranno discutere mentre il regista è quantomeno chiamato ad una prova d’appello. Alessandro Orecchio Recensioni – lunedì 21 febbraio 2006, ore 15.00
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