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Il villaggio di Um Salomona, esempio di resistenza nonviolenta

La Palestina di Enrico/3

Il villaggio di Um Salomona, esempio di resistenza nonviolenta

Mi dirigo in pullman con attivisti palestinesi ed internazionali al villaggio palestinese di Um Salomona, altra vittima della politica israeliana di colonizzazione e ghettizzazione dei Territori palestinesi occupati. Proprio come per Bil'in, questo villaggio che si trova tra Betlemme e Hebron, nel sud della Palestina, lotta e resiste in maniera nonviolenta alla confisca della propria terra per la costruzione del Muro dell'Apartheid e delle colonie israeliane. Verso le 10 di ogni venerdì gli abitanti del villaggio, insieme ad attivisti israeliani ed internazionali, inscenano la consueta settimanale protesta nonviolenta piazzandosi di fronte ai soldati e reclamando la propria presenza, i propri diritti, la volontà di viver in pace nella propria terra.

Ai soldati basta un filo spinato per separare i manifestanti e scongiurare ogni sorta di contatto fisico, ed è sufficiente ostentare l'armamentario bellico per scoraggiare un eventuale scontro. Ci sono parecchi ragazzini, anche bambini. Le grida, le bandiere, le proteste, la rabbia. Si alza la tensione, ma i soldati rimangono piuttosto tranquilli. Qualche faccia a faccia, qualche spintone, un tentativo di scansare il filo spinato. Si grida ai soldati, puntando con l'indice: "Non ci caccerete per la seconda volta", "questa e' la nostra terra, dovete andarvene, dovete lasciarci vivere in pace", "voi sapete di essere nel torto, voi sapete che un giorno noi torneremo nelle nostre case".

Ci sediamo a terra, mitra e filo spinato ad altezza di viso. I soldati sembrano perdere la pazienza, qualche manifestante più attivo tenta un approccio fisico, prova ad oltrepassare il filo spinato, e viene arrestato. In prima linea nella protesta ci sono alcuni coraggiosi attivisti israeliani: è importante che la lotta non sia solo palestinese, è importante che ci siano israeliani e palestinesi fianco a fianco, che ci siano israeliani di fronte ai soldati israeliani, a pungolarne la coscienza. Le proteste aumentano d’intensità. I soldati lanciano gas lacrimogeni e bombe sonore per disperdere noi manifestanti. Dopo un’ora circa la protesta finisce e me ne torno nella calma Beit Sahour, stanco e con mille pensieri in testa.

Qui in Palestina sta succedendo qualcosa di straordinario. Un movimento dal basso, cosciente e nonviolento, solidale e responsabile, sta imparando a resistere alla colonizzazione ed all'occupazione, sta lottando contro uno degli eserciti più forti del mondo. Nonostante tutte le angherie, le ingiustizie e i soprusi dell'occupazione che dura da oltre 40 anni, alcuni villaggi palestinesi hanno trovato la forza, il coraggio e la maturità di portare avanti delle forme di resistenza nonviolente, con l'aiuto di attivisti internazionali e israeliani. Ai mitra dell'occupante, loro rispondono con forza morale, solidarietà, coscienza civile.

Se in Palestina spuntasse un Gandhi, ora e subito, questo popolo di risorse e vitalità straordinarie sarebbe pronto per la rivoluzione nonviolenta, per la liberazione e l'autodeterminazione senza il ricorso a metodi violenti, guerre, guerriglie, terrore. Un popolo così consapevole della superiorità etica della propria causa (la loro battaglia per i diritti fondamentali è la battaglia dell’umanità per l’emancipazione), con la solidarietà attiva di ampie fette di società civile mondiale, sarebbe in grado di fare quello che così di rado nella storia è riuscito.

Pubblicato il 23/1/2009 alle ore 11:52 da provincia.ap.it


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 Articolo letto 1718 volte. il 23 Jan 2009 alle 15:54
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