"Little Miss Sunshine" di Jonathan Dayton e Valerie Faris
La famiglia Hoover parte da Albuquerque alla volta di Redondo Beach con un piccolo furgoncino giallo Wolksvagen per realizzare il sogno della piccola di casa Olive (interpretata magistralmente da Abigail Breslin): diventare la nuova miss delle passerelle col titolo di little miss sunshine. Una domanda sorge spontanea: cosa c’è di normale in questo piccolo nucleo familiare? Ogni singolo componente della famiglia Hoover racconta una propria storia particolare, sgretolata ma totalmente appassionante: i genitori Toni Collette e Greg Kinnear, la prima alle prese con le proprie nevrosi e con le ripetitive cene a base di ali fritte di pollo ed il secondo convinto di spopolare con un libro sulla ricerca della felicità e del successo lavorativo raggiungibili in sole nove mosse; la già citata Olive, ossessionata amorevolmente dalla voglia di diventare una piccola reginetta di bellezza e per questo ogni giorno impegnata in misteriose prove artistiche; il nonno sboccato e cacciato da una casa di cura per anziani per il suo uso di stupefacenti (Alan Arkin), il primogenito ribelle impegnato in un silenzio forzato che si protrae da ben nove mesi (Paul Dano, incredibile e bravissimo nel far trasparire il suo talento seppur in silenzio per tre quarti del film) e lo zio aspirante suicida tradito dal fidanzato alunno, studioso di Marcel Proust ed usurpato anche della sua cattedra universitaria (Steve Carrell per la prima volta cimentatosi in un ruolo non comico). In questo surreale viaggio on the road affrontato su un furgoncino che necessita ogni volta di una spinta se non si parte in discesa, la famiglia Hoover mette in mostra tutta la sua peculiarità, attraverso dinamiche surreali che sembrano essere alimentate da sentimenti di odio ed insofferenza piuttosto che dall’amore filiale o familiare in generale. Ma se abbandoniamo il nostro spirito critico, attento solo ad evidenziare e mettere in risalto le problematiche della famiglia reputandole assolutamente lontane dalle nostre, ci accorgiamo che ogni famiglia può rappresentare la famiglia Hoover, alla ricerca del proprio equilibrio psico-sociale, in lotta perenne con le proprie paure, con i propri demoni, ma che in lontananza, alla fine di uno speciale tunnel, può incontrare una luce di salvezza. Così se all’inizio qualcuno della famiglia conserva ancora qualche sogno di gloria, alla fine ogni personaggio vede svanire le proprie aspettative ma riconquista un minimo di calore familiare che sembra poterlo preservare dalla brutture della vita. E non ci interessa se alla fine del film non si assiste ad un canonico happy end (così abusato nei lungometraggi americani), perché nel sorriso della madre che ritrova apparentemente la joie de vivre o nel figlio che riscopre la voglia di condividere le proprie insicurezze adolescenziali con le persone più care risiede il vero messaggio di questo film. Una scena cult si innalza come livello sulle restanti del film: la prova finale del concorso con cui la piccola Olive ambisce a diventare miss spiazzando la giuria; in realtà in un numero di danza provato e riprovato col nonno ed al limite della decenza, la bambina finisce con il coinvolgere tutti i membri della famiglia, scacciando un brusco allontanamento dal concorso e donando una possibilità di redenzione o rinascita ad ognuno. Un piccolo capolavoro assolutamente da non perdere.Hoover parte da Albuquerque alla volta di Redondo Beach con un piccolo furgoncino giallo