CISL FP MARCHE
Ancona 9 giugno 2006 - L'introduzione di Giovanni Serpilli, Segretario Generale CISL Marche, alla manifestazione regionale di CGIL - CISL - UIL su "il Lavoro e la Costituzione"
Fiera della Pesca - Ancona 9 giugno 2006
I. Un NO motivato e sentito
A molti può sembrare strano che i sindacalisti delle Marche si ritrovino oggi a parlare di Costituzione. E’ invece nella storia e nella tradizione del sindacalismo confederale italiano coltivare un forte interesse ed una costante attenzione al tema delle riforme istituzionali.
La loro portata generale infatti influisce sugli assetti e sugli equilibri democratici e determina ricadute sulla società civile, sul mondo del lavoro, sui diritti fondamentali dei singoli e delle formazioni sociali.
La riunione di oggi è frutto di una convinta e condivisa scelta che CGIL, CISL e UIL hanno fatto per dire NO alla riforma della Costituzione votata a colpi di maggioranza nella passata legislatura.
Riaffermiamo come irrinunciabili il valore dell’unità nazionale, fondata sui principi dell’uguaglianza e della solidarietà tra tutti i cittadini, nonché il modello ed i valori della democrazia partecipativa, la sua natura parlamentare, con il pluralismo e l’equilibrio dei poteri che le sono propri.
Con queste convinzioni abbiamo valutato con preoccupazione la scelta fatta nel 2001 con la riforma del Titolo V, una breccia aperta alla successiva stravolgente azione riformatrice.
Abbiamo seguito e condiviso i numerosi appelli che arrivavano in particolare da quanti, seppur provenienti da culture diverse, avevano vissuto e contribuito a costruire la nostra Carta costituzionale.
Ciò che fu stabilito dall’Assemblea Costituente nel 1947 è infatti oggi rimesso in discussione.
Allora confluirono in quella decisione le grandi culture del Paese, ma l’incontro e la sintesi di quelle culture fu talmente felice che l’intera Costituzione è risultata perfettamente coerente a ciascuna delle ispirazioni.
Perciò essa, scritta (e sottoscritta) da tutti, è anche la Costituzione di tutti ed ha compiuto il miracolo di unificare l’Italia e di permetterle di passare dalla arretratezza alla modernità, dalla dittatura alla democrazia e dalla guerra a una lunga pace.
Le modifiche della parte seconda della Costituzione, che vogliamo abrogare con il referendum, per la loro vastità, intaccano anche i Principi fondamentali e la Parte I, relativa ai “diritti e doveri dei cittadini”, di cui voglio farne rapida memoria:
- l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro
- la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
- tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che…impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
- la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro
- la Repubblica una ed indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali
- la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche
- tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge
- la Repubblica ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Voglio ricordare anche che la Costituzione ha introdotto l’obbligo per la Repubblica di curare la formazione dei lavoratori e la promozione degli accordi internazionali per la tutela del lavoro ed in particolare dei nostri emigranti, il diritto ad una retribuzione adeguata e sufficiente per la propria famiglia e alle ferie e al riposo settimanale, la parità di retribuzione tra uomo e donna, oltre che i diritti alla assistenza sociale, in caso di infortunio, malattia e disoccupazione, nonché il principio di collaborazione alla gestione delle aziende; la stessa riconosce inoltre il ruolo dei patronati e la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero.
Alla luce di questi principi e di questi diritti abbiamo voluto porre alla base di questa nostra riflessione il lavoro e il suo inscindibile legame di valore con la Carta costituzionale, un legame che non vogliamo che venga reciso.
La riforma della Costituzione che viene sottoposta al referendum è il compendio di quanto proclamato e praticato in cinque anni di governo nella precedente legislatura. Al fondo di queste pratiche è presente una ideologia sostanzialmente populista, di predominio del leader carismatico sulle pratiche, necessarie e spesso faticose, della democrazia. Una concezione che riduce la politica al mandato elettorale, alla dialettica bipolare, al ruolo determinante del presidenzialismo.
Sostanzialmente si tende a negare l’autonomia e la partecipazione della società civile, fino a prefigurare una vera emergenza per la democrazia italiana.
Per questo non siamo qui a difendere in modo conservativo il nostro ruolo, ma per affermare un’altra concezione della democrazia dove non possano esistere recinti o subalternità per le forme organizzate di rappresentanza.
II. Un NO a partire dai contenuti
Le motivazioni del nostro NO, oltre che da questi motivi di fondo, vengono infatti dalla sostanza stessa dei contenuti, non solo pericolosi, ma anche approssimativi e contraddittori.
Con l’introduzione della competenza esclusiva delle regioni in materie quali la sanità, l’istruzione e la sicurezza (la cosiddetta devolution):
- l’Italia viene fatta a pezzi, viene stravolto il principio generale della uniformità dei livelli essenziali dei servizi per tutti i cittadini italiani;
- si determinano inevitabili sperequazioni territoriali nel godimento di diritti fondamentali;
- si contraddicono le garanzie di unitarietà del sistema che l’attuale Titolo V della Costituzione assicura, attribuendo alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
- si svilisce il modello di federalismo cooperativo e solidale che sosteniamo.
La stessa attività contrattuale rischia di essere compromessa rispetto alla unitarietà del contratto nazionale spezzettato tra le diverse regioni che sono competenti esclusive su tali materie.
Invece di ridurre le differenze con opportune politiche di perequazione, viene lanciato un messaggio inequivocabile: ogni regione ha il pieno diritto di far da sé e per sé.
I risultati di tutto questo sono facilmente immaginabili: chi è forte potrà assicurare i servizi ai propri cittadini. Chi è debole non avrà la possibilità di assicurare certezze alla soluzione dei problemi dei propri cittadini, alterando così il principio che affida alla centralità dell’azione dello Stato la garanzia di una sostanziale condizione di giustizia sociale.
Tutti noi sappiamo con quanta fatica e con quanto impegno abbiamo lottato perché la giustizia sociale si potesse affermare nel nostro Paese e anche nella nostra Regione.
Oltre a ciò si aggiungono rischi notevolissimi di forme di democrazia autoritaria attraverso l’introduzione di una sorta di premierato assoluto.
I richiami del sen. Leopoldo Elia, già Presidente emerito della Corte Costituzionale, quando, andando oltre i rischi ed i pericoli della devolution, considerata quasi uno specchietto per le allodole, pone l’accento su quella che lui ritiene la vera questione, cioè la forma di governo.
Un governo privo di contrappesi, con un Premier legittimato dal voto popolare che può agitare in ogni momento, di fronte ad alleati riottosi, la minaccia dello scioglimento anticipato delle camere, che può mantenere la sua posizione anche a fronte di una sfiducia parlamentare e che di fatto può determinare l’agenda del Parlamento ridotto a cassa di risonanza delle sue decisioni.
Una struttura che non ha precedenti né nell’esperienza britannica, dove il partito di maggioranza può in qualsiasi momento sfiduciare il Premier, né in quella statunitense dove il Presidente non può sciogliere un Congresso riottoso, e nemmeno in quella francese, dove il Presidente può comunque essere limitato nelle sue prerogative da un governo di diverso segno politico.
La vera costante della revisione costituzionale approvata dal Parlamento sembra essere la negazione del principio fondamentale del costituzionalismo tradizionale, ossia la limitazione del potere sovrano: con questa riforma non si vogliono limiti di sorta al potere del Presidente del Consiglio.
La stessa introduzione del Senato federale rappresenta, al di la dell’annuncio, uno degli aspetti più confusi e contraddittori dell’intero provvedimento.
Infatti, né la contestualità di elezione dei senatori e dei consiglieri regionali, né, tanto meno, la presenza di rappresentanti delle regioni e degli enti locali, totalmente depotenziati, in quanto privi del diritto di voto, sono in grado di assicurare quella rappresentatività e quella operatività politica che le regioni e gli enti locali dovrebbero avere nel Parlamento di un sistema federale.
Inoltre, la procedura di formazione delle leggi appare complessa e tortuosa, al punto da non garantire uno snellimento dell’iter ed un abbreviamento dei tempi rispetto al modello attuale, anzi, in alcuni casi, tale da comportare un aggravio degli stessi.
Un ulteriore motivo di preoccupazione è connesso con l’indebolimento delle istituzioni di garanzia.
Infatti, al Presidente della Repubblica vengono sottratti il potere di nomina del Presidente del Consiglio ed il potere di scioglimento delle Camere.
Per quanto riguarda la Corte Costituzionale, la riforma aumenta la componente di derivazione politica, alterando così l’equilibrio che ha permesso alla Corte di svolgere un efficace controllo costituzionale anche nei confronti del potere politico.
Infine, per quanto riguarda i temi delle risorse e del federalismo fiscale, se da un lato hanno una loro previsione nel provvedimento, mentre sino ad oggi sono stati sostanzialmente elusi, dall’altro è criticabile e quindi inaccettabile che, ancora una volta, abbia prevalso la scelta del dilazionamento dei tempi per la loro concreta attuazione, mentre, come abbiamo più volte sostenuto, si tratta di elementi prioritari per la realizzazione di un modello compiuto di federalismo solidale e cooperativo.
III. Un NO per il metodo
In questi ultimi mesi abbiamo partecipato a innumerevoli iniziative di discussione sulla riforma costituzionale.
Il grido di allarme lanciato a suo tempo da Giuseppe Dossetti risuona ancor oggi più forte a fronte di un progetto che non è più tale ma che è diventato legge del Parlamento seppur sottoposta a referendum confermativo.
Tutti coloro che si sono opposti alla pericolosa e pesantissima riforma hanno gridato la loro indignazione per il fatto che la riforma stessa fosse stata elaborata da soli quattro saggi in una baita di Lorenzago.
E’ difficilmente immaginabile che possano ritrovarsi in Andrea Pastore, in Francesco D’Onofrio, in Roberto Calderoli ed in Domenico Nania conoscenze, competenze ed abilità tali da elaborare un testo complesso, assemblando in soli tre giorni tutte le proposte.
Insomma, decine e decine di articoli riscritti, un impianto costituzionale nuovo, uno Stato diverso, un diverso rapporto di cittadinanza…il tutto sfornato dai quattro espertissimi ed accettato dal Parlamento in poche settimane.
Quanti equilibri spostati, quanti poteri accresciuti e quanti annichiliti, quanta parte della Costituzione cambiata, manomessa, rivoltata come un calzino e quanta pericolosità in un sistema siffatto.
E’ facile immaginare che il teatrino di Lorenzago avesse solo una funzione mediatica e che servisse ad appagare il popolo padano, mentre la riforma, le riforme, avevano altre origini ed altre radici.
Senza aver mai avuto delega o incarico dagli Italiani, si è voluto giocare all’ “ingegnere genetico” con i nostri diritti e con la nostra democrazia.
L’Assemblea del 1946 è stata annichilita per la ricerca di un posto nella storia, ma soprattutto di un posto inamovibile al potere.
IV. Un NO motivato e consapevole
Nelle democrazie liberali la Costituzione è un limite per il potere politico e più in particolare per il potere delle maggioranze parlamentari.
Individua i principi che non sono nella disponibilità della maggioranza, ma che possono essere modificati solo con l’assenso di una larga parte delle forze politiche rappresentate nel Parlamento.
Questioni, temi e sottolineature di cui occorre conoscenza e consapevolezza.
La conoscenza dei contenuti, oltre che della storia, della nostra Carta costituzionale da parte della maggioranza dei cittadini è molto scarsa per non dire inesistente.
Questo significa che non si ha chiaro quali siano i valori fondanti della nostra vita comune, che il sistema dei diritti e dei doveri è spesso conosciuto in modo approssimativo.
Questioni queste che ci interrogano anche rispetto alle nostre responsabilità.
L’ignoranza della Carta costituzionale da parte di molti cittadini fa correre il rischio che il referendum diventi un puro scontro ideologico fra destra e sinistra.
Noi, andando a votare, diventiamo “ri-costituenti” della nostra Costituzione e per questo possiamo decidere in modo immediato di difendere le regole fondamentali della nostra vita civile.
Possiamo così decidere dei destini futuri della nostra Repubblica.
Per questo ruolo essenziale e delicato che il referendum dà a ciascun cittadino-elettore, vi invito a fare una forte opera di convincimento nei riguardi dei vostri amici e colleghi perché vadano a votare. E votino NO.
Non sarà possibile in poco tempo recuperare ciò che non è stato fatto in 60 anni di vita della nostra Repubblica.
Sicuramente il referendum è occasione buona per un impegno da spendere per far prevalere in forma massiccia il NO, ma è anche occasione utile ed opportuna per seminare nuova attenzione e ritrovare nuove sensibilità per riscoprire il valore e l’importanza della nostra Carta fondamentale.
Queste sono le condizioni per poterla difendere; per poterla modificare se ritenuto opportuno ed utile.
Ci piace ricordare, in conclusione, le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pronunciate nel novembre dello scorso anno in occasione della discussione parlamentare dell’allora disegno di legge costituzionale: “Il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo, non è tra passato e futuro, tra conservazione ed innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente ad una idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici.
La rottura che c’è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l’approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della parte seconda della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua in prospettiva la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale, un cammino che bisognerà pur riprendere, nelle forme che risulteranno possibili e più efficaci, una volta che si sia con il referendum sgombrato il campo dalla legge che ha provocato un così radicale conflitto”.
Parole che indicano chiaramente la necessità che la riforma venga respinta con il NO in occasione della consultazione referendaria:
- un NO che ripristini il valore prezioso della Costituzione, non piegabile a legge ordinaria, che può essere modificata a colpi di maggioranza;
- un NO che ripristini nel metodo un percorso possibile per eventuali modifiche successive che registrino la più ampia partecipazione ed il più ampio consenso, perché la Costituzione non è strumento di parte, ma un bene e una garanzia di tutti.
Questa chiamata alle urne non è pertanto una prova elettorale come le altre; si tratta di un referendum assolutamente eccezionale in cui i cittadini, diventano “essi stessi costituenti”, perché chiamati a decidere dell’identità e del futuro della Repubblica.
Ognuno di noi, ci raccomanda il presidente Scalfaro, deve sentirsi in ogni momento tutore della Costituzione, garante della Costituzione.
Per questo occorre conoscerla, occorre farla conoscere, ma soprattutto bisogna che ognuno di noi sia capace di amarla.