Greetings from Reading 2
Si sta per chiudere la seconda english week che mi vede tornare mezzo morto da Bristol dove ho trascorso il weekend pasquale. Ancora una volta posso ribadire quello che già vi dicevo la scorsa settimana, cioè che non importa tanto il luogo fisico in cui trovi, ma la possibilità di essere nella condizione di fare quello che più ti piace nel luogo dove pensi di trovare le migliori condizioni per lavorare. Ho passato un weekend con alcuni erasmus del luogo ognuno con il suo personale progetto, che condividevano insieme le ansie, i sogni e le paure legate alla certezza di essersi messi in gioco e all’incertezza che la scommessa che hanno lanciato a sé stessi può portarli lontano, ma può anche determinare il rischio di doversi rimettere in gioco. In questa situazione, che può sembrare difficile da gestire, si toccano con mano alcuni aspetti positivi della globalizzazione. Una sensazione positiva che nasce dall’osservazione dei gesti che si compiono quotidianamente quasi senza accorgercene, ma sui quali inevitabilmente ci si viene a scontrare quando si scorgono nelle vite dei tuoi compagni di viaggio. E allora ci si accorge che tutti hanno avuto una professoressa di matematica che imperversava sul bersaglio di turno, che le prime sbornie sono state sempre quelle più colossali, o che i momenti salienti delle discussioni con i genitori erano legati al fissare gli orari di rientro. Contemporaneamente, però, ci si rende conto che se da un lato è vero che tutti noi condividiamo in linea di massima il medesimo sistema di valori che ha segnato il nostro cammino di crescita, dall’altro ognuno di noi è espressione delle storia e della cultura da cui proviene. Ed allora ti può capitare di alzarti e fare una colazione all’inglese, con tanto di pane, burro, pancetta, uova, caffé, latte, succo d’arancia e biscotti. Poi, sistemata la cucina, uscire di casa e andare al porto per vedere i villeggianti della domenica di Pasqua che levano gli ormeggi alle proprie imbarcazioni e si dirigono verso il mare aperto, obbligando tutti a fissare il proprio sguardo su di loro. Inevitabile, se per uscire dal porto si deve chiudere un passaggio a livello e un ponte si deve sollevare solo e soltanto per te, mentre a poco a poco si inizia a formare una piccola fila di automobili impazienti di lasciare la città per fuggire un paio di giorni in campagna. E ci sta anche che poi torni a casa e una ragazza francese ti passi a chiamare perchè ha disseminato il parco che circonda il castello di cioccolatini, come il papà faceva per lei le domeniche di Pasqua che aveva trascorso in famiglia (magari poi il parco era il giardino di casa, ma volete mettere nella mente di un bambino…). E in questa caccia al cioccolatino perduto ti può anche capitare di finire in squadra con olandese che era venuto a Bristol un paio di giorni per salutare un suo amico e con lui stracciare tutti quanti (24 cioccolatini contro 8, 7 o anche meno raccolti dalle altre squadre non sono mica pochi…) e tornare a casa con un’intera scatola di dolciumi. Che, tra l’altro, tu non toccherai perché sei stato colto dall’insana idea di metterli in comune per il pranzo di Pasqua. Pranzo, che in realtà fai alle cinque e mezzo di pomeriggio mentre alcuni stanno dipingendo delle uova sode e tu parli di vino con un mezzo ingegnere greco. A un tratto ti ritrovi con in mano un unico piatto con lasagne italiane, un’insalata greca e una olandese. E per dolce muffins, apple pies e brioches con panna e marmellata mentre ti fa sorridere l’ovetto Kinder che ti hanno lanciato invece del tradizionale uovo da 12 kg. Ma a quel punto si è fatto tardi e devi tornare a casa. Sei un po’ a pezzi, ma ti sei divertito. E già pensi a come far sparire la foto con le orecchie da coniglio che ti hanno scattato in un pub la notte precedente…
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