Muse @ Piazzale Michelangelo, Firenze – 30.05.07
Che bel professionista è diventato Matthew Bellamy! Arriva vestito di tutto punto (ma chiudiamo un occhio sul colore dell’abito, rosso), suona che è una meraviglia, ringrazia in perfetto italiano, dice che Firenze è la città più bella del mondo, e dopo soli quindici pezzi – per un’ora e venti di concerto – saluta e se ne va. Si porta dietro un palco fantascientifico, costruito a somiglianza della base civile e militare Haarp in Alaska, ispirata alle idee del fisico Tesla. Immerge il pubblico in un mare di elettricità colorata, lo accarezza con fiori virtuali e lo aggredisce con fuochi d’artificio brucianti pixel. Non che ce ne sia granché bisogno, stasera agli effetti speciali ci pensa già la location. Al Piazzale Michelangelo, col suo celeberrimo panorama, ci sarebbe poco da aggiungere. Ma alla musica dei Muse, una delle derive più barocche del rock di oggi, un tocco di kitsch non guasta e luci, disegni, immagini, palloni sembrano funzionali all’estetica ridondante dei nostri. Il concerto inizia con la violenta Knights Of Cydonia e con la sua chiamata a raccolta («the time has come to make things right/you and I must fight for our rights/you and I must fight to survive») che lampeggia furiosa sui megaschermi. Non per nulla i Muse sono i portavoce di una generazione cresciuta con l’incubo del terrorismo, con la paura di una guerra globale e con l’ulteriore croce di avere governanti incapaci e fomentatori d’odio. Bellamy ha concepito più di una canzone in cui prefigura scenari da apocalisse. Spesso canzoni suggestive e di grande presa, sennonché qualche giorno fa mi è capitata sotto mano una recente intervista da cui si evinceva che lui, al suo ruolo di guru, ci crede davvero – o perlomeno questo è quello che ho pensato leggendo dichiarazioni tipo «ogni struttura di potere si muove verso il fascismo e la dittatura», «bisogna rimuovere qualsiasi situazione di potere forte per poi ripartire da zero» e la perentoria «io sono un anarchico». Basso e batteria pulsano impeccabili, il ritornello di Hysteria porta con sé una deflagrazione da brividi, Supermassive Black Hole è sconquasso puro, la chitarra urla e riverbera, si carica di effetti e schizza verso il cielo. Contorcendosi sul suo strumento Bellamy, più che novello Bakunin pare un magnifico mestierante, funambolico sulla tastiera, prevedibile negli ancheggiamenti e nelle mossette. La potente macchina live dei Muse tiene sù uno show via via più godibile. Le soluzioni sempre originali degli arrangiamenti fanno di ogni pezzo una scheggia impazzita di inventiva e metronomica perfezione. Il coinvolgimento, che non sempre si mantiene a livelli elevati, nei momenti più riusciti del concerto diventa totale. Succede con la sempreverde versione di Feeling Good, eseguita da Bellamy al pianoforte che, per l’occasione, si riempie di ologrammi; la quasi depechemodiana Map Of The Problematiqué; l’accoppiata pop dell’ultimo album, Invincibile e Starlight. I bis sono da far accapponare la pelle con l’inaspettata Blackout, splendida, Plug In Baby e Stockholm Syndrome, che chiudono il concerto con la stessa violenza con cui era iniziato. Peccato soltanto che uno dei musicisti più dotati della sua generazione sia diventato un bel professionista.
Setlist: Knights Of Cydonia / Hysteria / Supermassive Black Hole / Map Of The Problematiqué / Micro Cuts / Feeling Good / Sunburn / Invincibile / Starlight / Man Of Mistery / Time Is Running Out / New Born // Blackout / Plug In Baby / Stockholm Syndrome
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