In questi giorni l’affaire Alitalia riempie i notiziari di giornali e televisione.
Tutti vogliono, chi in un modo chi in un altro, salvarla in nome di un romantico ma irrazionale patriottismo.
L’Alitalia sarebbe insomma, insieme con la Fiat, il fiore all’occhiello del nostro Paese.
Purtuttavia mentre la Fiat può mettere in cassa integrazione o licenziare i propri dipendenti, senza che nessuno seriamente si opponga, il solo ventilare un “dimagrimento” dell’Alitalia provoca levate di scudi bipartisan.
Ciò è ingiusto: per anni la Compagnia di bandiera ha speso e spaso senza pudore né ritegno: stipendi da favola (il cui importo i dipendenti si guardano bene di far conoscere), personale in eccesso, contrabbando di ogni genere, furti sistematici ai bagagli dei viaggiatori. Insomma una ricca trocca, piena di denaro pubblico, in cui fare abbuffare tranquilli i dipendenti.
Solo la normativa CEE sulla concorrenza ha costretto la nostra classe politica a porre freno a questa vergogna.
Tutti si preoccupano per l’immagine italiana del Mondo, per i poveri lavoratori messi in mezzo alla Strada.
Bene (anzi male!) Continuare a sovvenzionare una impresa decotta (l’Alitalia appunto) ci fa passare, di fronte al Mondo, come dei poveri fessi.
Quanto poi al personale, la buona uscita, proporzionata ai lauti stipendi, permetterebbe ai dipendenti licenziati di vivere agiati per parecchi anni.
Ma poi perché non si hanno le stesse premure anche per lavoratori del Petrolchimico di Porto Marghera, condannati in massa alla morte precoce per i veleni industriali inalati e che non posso neppure lamentarsi perché così facendo perdere il posto?
Forse che la vita di un manovale vale, anche economicamente, meno di quella di un azzimato e nullafacente steward?
Sì, anche ricchi (i dipendenti Alitalia) piangono, ma i poveri (i veri lavoratori) piangono molto di più.
*Ass. “I Nuovi Esistenzialisti”